La lotta che ha caratterizzato la permanenza nella Seconda Dimora ha portato come frutto maturo la decisione di non uscire dal “Castello interiore”, cioè di non interrompere la relazione di figliolanza che lega la persona a Dio. L’habitat naturale è divenuto la preghiera: la giornata è costellata di continui “atti di preghiera”, cioè di pensieri e movimenti del cuore rivolti a Lui. Ci sono anche costanti appuntamenti con Dio, quali ad esempio la meditazione quotidiana. La volontà si è fortificata al punto tale che, volontariamente, non si sceglie di commettere peccati (come abbiamo già avuto modo di dire precedentemente, la persona può però cadere anche in peccato mortale a causa della fragilità della natura umana, ma questo è assai diverso dalla deliberata scelta di vivere in uno stato di peccato). A questo punto perciò può essere aperta la porta della Terza Dimora, l’ultima nella quale la persona può giocare un autentico ruolo attivo. Come abbiamo detto nell’Introduzione, è sempre Dio a prendere l’iniziativa di chiamare a Sé; ciascuno è sommamente libero di rispondere o di lasciar cadere l’invito. Nelle prime tre Dimore però la persona è chiamata a operare in maniera molto fattiva e concreta; nelle quattro successive invece si è chiamati a “lasciar fare”, come avremo successivamente modo di vedere.
La Terza Dimora è quella nella quale si trova a essere una gran parte di persone “spiritualmente impegnate” per l’intera loro esistenza, o almeno per la maggior parte di essa.
Una nota dominante che le caratterizza è una sorta di “timore”, perché è ancora facile voltarsi indietro e…andarsene dal Castello (nonostante ciò che si è maturato nella Seconda Dimora). Esempio tipico è quello evangelico del giovane ricco: Gesù conosce le tante opere belle e buone che egli fa, per questo gli domanda un “di più”… Ma egli se ne va e questo suo declinare l’invito ha per conseguenza il rannuvolamento del cielo interiore… Anche la persona che vive in questa Terza Dimora ha una vita di preghiera solida e costante; al contempo le sue giornate sono autenticamente ricche di opere buone. Il pericolo è però quello di impadronirsi di tutto ciò, al punto tale da aspettarsi, in maniera talvolta molto sottile, che Dio le ricompensi per questo stile di vita. Corrono il rischio di arrogarsi diritti su Dio, come se Egli fosse in dovere di ripagarle con speciali privilegi o consolazioni spirituali (e non solo!). Ugualmente, proprio a motivo delle opere, sono tentati di spadroneggiare anche sul prossimo, assumendo atteggiamenti di “superiorità” (o perché si credono più “perfetti” o perché si sentono “benefattori”). Naturalmente questo non accade in maniera palese; è che queste persone hanno forse talmente “organizzato” e “pianificato” la loro vita spirituale che si sono come….”autocanonizzate”… e dunque i loro atteggiamenti nei confronti di Dio e degli altri non sono che una semplice declinazione di questo.
La via per non cadere in questa trappola è di non considerarsi protagonisti e artefici del proprio cammino spirituale. E’ un equilibrio difficile, perché in effetti è richiesta tutta l’opera di corrispondenza attiva alla chiamata di Dio, ma è necessario tenere desta la consapevolezza che quella della persona è sempre e solo una risposta, che deve nutrirsi di due virtù fondamentali:
L’obbedienza è la chiave di volta di questa Terza Dimora. La persona, come abbiamo visto, è infatti tentata di fermarsi, ritenendosi come “arrivata” dentro uno stile di vita caratterizzato sia dalla presenza di una relazione con Dio sia da opere derivanti dalla fede. Dio invece non cessa di chiamare e di proporre orizzonti di sequela sempre più totalizzanti: c’è sempre un “di più”. Dunque è importante continuare ad ascoltare la voce di Dio nella preghiera meditativa, affinando l’orecchio, e rispondere nella concretezza della vita quanto si è udito.
Uno strumento particolarmente utile è l’accompagnamento spirituale, perché è il contesto più idoneo per discernere la volontà di Dio passo dopo passo. La presenza di colui che accompagna è il mezzo più efficace per non cadere nel tranello della autoreferenzialità: sappiamo infatti molto bene di come si possa vivere anche i valori evangelici in maniera autocentrante e non per puro amore verso Dio e verso i fratelli. Proprio per questo la nota caratteristica della Terza Dimora è la gratuità, come è stato indicato nel titolo. Il lavoro sinergico della persona e della Grazia sta infatti nell’esercizio continuo di vivere in uno stato di obbedienza, per non coltivare pretese su Dio e sui fratelli, ma per educarsi a vivere in una dimensione di dono gratuito, di puro amore, di quell’amore che non ha altra ragione che se stesso.
“Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra”: questa invocazione del “Padre nostro” può essere la giaculatoria che accompagna chi si trova nella Terza Dimora, perché la sua anima-terra possa divenire anima-cielo.
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“Tutto ciò che abbiamo fin qui descritto mostra il cammino naturale e normale dell’anima verso di sé e verso Dio. Con ciò non si vuole dire che in questa fase non entri in gioco il soprannaturale. Al contrario, ogni stimolo che muove l’uomo rientrare in sé e lo fa camminare verso Dio dev’essere visto come effetto della grazia, anche se ciò avviene tramite fatti e moventi naturali. Ma tutto ciò che fino a questo punto l’anima conosce di Dio e dei suoi rapporti con Lui viene dalla fede, e la fede viene dall’udito” (Edith)