Quando Husserl, nel volume “Ricerche logiche” , afferma che le sue ricerche filosofiche possono prendere il nome di indagini
fenomenologiche, il termine “fenomenologia” non risuona affatto nuovo alle orecchie dei suoi colleghi filosofi. Prima di lui infatti altri pensatori hanno tentato di dare a questo termine un
significato filosofico ben preciso.
Tra questi, nel 1764, Lambert (1) , che intitola la quarta sezione del suo volume “Neues Organon”, appunto “Phänomenologie”: secondo questo autore la fenomenologia altro non è che
quella dottrina che aiuta a superare la dimensione prettamente soggettiva dell’apparire, permettendo così di giungere a una distinzione tra ciò che è reale e ciò che invece è proprio delle forme del
suo apparire stesso.
Anche Hegel (2) si misura con questo termine, affermando che la fenomenologia ha per suo oggetto la concatenazione necessaria delle figure nelle quali si manifesta lo spirito che
perviene alla piena coscienza di sé.
Sebbene l’impronta hegeliana faccia scuola - e ben oltre la prima metà dell’Ottocento -, quando Husserl si accinge a usare il terne “fenomenologia” lo trova già ricondotto nell’alveo della psicologia
descrittiva e in quello della analisi dei dati immediati della conoscenza; per questo motivo non teme fraintendimenti nel suo parlare di “fenomenologia della conoscenza”.
In realtà anche altri eminenti autori contemporanei di Husserl o a lui di poco precedenti lo utilizzano.
Per Brentano (3) e la sua scuola ad esempio la fenomenologia è una indagine specificamente descrittiva il cui oggetto è l’esperienza; essa si differenzia dalle indagini
psicologico-genetiche perché rinuncia a qualunque tipo di considerazione che vada al di là dei fenomeni così come essi si manifestano alla coscienza.
Anche Pfänder (4), studente di Theodor Lipps - che si accosterà poi a Husserl dopo aver letto le “Ricerche logiche” - intitola, nel 1900, il proprio scritto di abilitazione
“Fenomenologia del volere”.
Prima ancora perciò che Husserl conferisca quel significato teorico che poi si imporrà come frutto della sua ricerca filosofica, il termine “fenomenologia” esprime già quella esigenza da molti
avvertita di descrivere e classificare le forme dell’esperienza in modo da non cadere nell’errore di confondere il senso dell’esperienza con le modalità empiriche della sua realizzazione fisiologica.
Dietro questo evidentemente sta una certa qual presa di distanza dal modello empirista e positivista dominante la ricerca scientifica e condizionante la stessa riflessione filosofica.
Il desiderio che anima Husserl - e, dietro a lui, tutta quella serie di giovani menti che vengono poi a costituire il “Circolo di Gottinga” (5) - è quello di costruire una filosofia
che si fondi su dati indubitabili, cioè su evidenze stabili. Rimasto alla storia è lo slogan: “Torniamo alle cose!”.
Il metodo utilizzato è quello della “epoché”, consistente nel sospendere, nel mettere tra parentesi le personali opinioni filosofiche e scientifiche, persino quell’atteggiamento naturale che fa
credere all’esistenza delle cose del mondo e del mondo stesso. Ciò che resiste all’assalto di questo dubbio sistematico viene chiamato da Husserl “residuo fenomenologico”; esso, per i fenomenologi, è
la coscienza, la soggettività, perché l’esistenza della coscienza è immediatamente evidente.
A proposito del termine scelto, interessante è l'annotazione fatta dagli autori Vincenzo Costa, Elio Franzini e Paolo Spinacci:
"Il termine «epoché» è evidentemente tratto dalla tradizione scettica e cartesiana ma, paradossalmente, la finalità husserliana è quella di farlo agire per mettere in crisi e in discussione entrambe queste istanze teoriche, sia ponendo le basi per una coscienza certa ed evidente, sia superando le conclusioni dicotomiche e sostanzialistiche del cartesianesimo” (6).
Anche a riguardo della novità legata alla "messa tra parentesi", alla "sospensione del giudizio" e alla "riduzione fenomenologica" i medesimi autori annotano:
"E' tuttavia indubbio che tale operazione [...] è in primo luogo un metodo per condurre al tema decisivo della costituzione, al rapporto cioè tra immanenza e trascendenza, al fenomeno puro. Le «tappe» attraverso le quali questa esigenza si realizza, in prima istanza nell'Idea della fenomenologia, ne segnano radicalmente il significato metodico: tematizzazione del problema della trascendenza, cioè di tutto ciò che non appartiene al flusso dei miei vissuti, conseguente messa fuori di tutte le tesi oggettive e riduzione all'immanenza reale; scoperta, infine, della possibilità di recuperare la trascendenza attraverso l'immanenza, cioè le operazioni coscienziali. Sono queste tappe a porsi come i fondamenti di ciò che Husserl chiama «costituzione trascendentale», vero centro della fenomenologia a partire dal 1905” (7).
Passo successivo è l’analisi e la descrizione dei modi tipici in cui le cose e i fatti si presentano alla coscienza; questi modi tipici
vengono chiamati “essenze eidetiche”.
Questi modi tipici in cui le cose si presentano alla coscienza sono però costituite dalla coscienza stessa o sono realtà che si impongono alla coscienza?
Dalla risposta a tale questione si ha la direzione idealistica o realistica che la fenomenologia prende. Secondo Husserl infatti ciò che è nella coscienza lo è in quanto indipendente dalla
sensibilità - e quindi a priori -, ma è funzionalmente ordinato alla costituzione dell’esperienza. Secondo Scheler (8) invece i valori oggettivi, gerarchicamente organizzati, si
impongono alla intuizione emozionale. A continuare a essere comune alle due posizioni è però la convinzione che la coscienza è sempre intenzionale, perché è sempre “coscienza di qualcosa”, in chiara
polemica verso Brentano, come anche evidente è l’antipsicologismo diretto contro Bolzano (9). Opponendosi anche all’empirismo, la fenomenologia si definisce come scienza, stabilmente
fondata, dedita all’analisi e alla descrizione dell’essenza. Queste ultime diventano oggetto di studio se il ricercatore, ponendosi in un atteggiamento di spettatore disinteressato, si libera dalle
opinioni preconcette, dalla ovvietà e dalla banalità, in modo da riuscire a “vedere” e a “intuire” - e dunque a descrivere - quell’universale per cui un fatto è proprio quel fatto e non un
altro.
Approfondendo ulteriormente la questione, Husserl afferma che la conoscenza ha inizio con l’esperienza delle cose esistenti. Quando un fatto si presenta alla coscienza, esso viene colto come una
essenza; ciò significa che l’individuale si annuncia attraverso l’universale. Quando infatti la prima coglie un fatto nel “qui e ora”, coglie anche la seconda e il “quid” di cui il fatto contingente
è caso particolare. Le essenze perciò altro non sono che modi tipici dell’apparire dei fenomeni.
Husserl specifica che la loro conoscenza non è mediata, cioè non è ottenuta attraverso l’astrazione e la comparazione di più fatti; per comparare più fatti è necessario aver già colto una essenza,
cioè un aspetto per cui i fatti sono simili. E’ evidente qui la polemica contro l’empirismo.
Come avviene allora la conoscenza?
Essa è, per Husserl, una intuizione, distinta da quella che permette di cogliere i fatti singoli; egli la chiama “intuizione eidetica” o “intuizione dell’essenza”.
Gli universali sono concetti, oggetti ideali, che permettono di classificare, di riconoscere e di distinguere i fatti singoli dei quali la conoscenza riconosce sia il “qui e ora” sia il “quid”; i
fatti singoli perciò non sono altro che casi di essenze eidetiche.
Proprio per questa ragione la fenomenologia presenta se stessa come scienza di essenze e non di dati di fatto; suo oggetto infatti sono le essenze dei dati di fatto, gli universali che la coscienza
intuisce quando a essa si presentano i fenomeni.
Scrive Giovanni Reale:
"Nel fatto si coglie sempre un'essenza. L'individuale si annunzia alla coscienza attraverso l'universale. [...] Le essenze sono, dunque, i modi tipici dell'apparire dei fenomeni. E non è che noi astraiamo le essenze, come volevano gli Empiristi, dalla comparazione di cose simili, giacché la somiglianza è già un'essenza. Non astraiamo l'idea o essenza di triangolo dalla comparazione di più triangoli, quanto piuttosto questo, quello e quell'altro sono tutti triangoli perché sono casi particolari dell'idea del triangolo. [...] La conoscenza delle essenze è un'intuizione. E' un'intuizione distinta da quella che ci permette di cogliere i fatti singoli. Essa è ciò che Husserl chiama Wesen. Si tratta di una conoscenza distinta da quella del fatto. I fatti singoli sono casi di essenze eidetiche. Queste essenze eidetiche, pertanto, non sono oggetti misteriosi o evanescenti. E' vero che sono reali solo i fatti singoli, e che gli universali non sono reali, come i fatti singoli. Gli universali, cioè le essenze, sono concetti, cioè oggetti ideali che tuttavia permettono di classificare, riconoscere e distinguere i fatti singoli, dei quali, la coscienza, quando si presentano ad essa, riconosce sì, l'hic et nunc, ma anche il quid” (10).
Il processo attraverso cui, nella descrizione del fenomeno che appare alla coscienza, si prescinde dagli aspetti empirici e dalle
preoccupazioni che legano a essi, al fine di cogliere l’essenza, viene da Husserl chiamato “riduzione eidetica” .
Esse inoltre non sono soltanto all’interno del mondo percettivo: anche fatti come i ricordi, le speranze e i desideri hanno la loro essenza, il che significa che si presentano alla coscienza in modo
tipico.
Caratteristica fondamentale dell’apparire e del manifestarsi dei fenomeni alla coscienza è poi l’intenzionalità. Ciò significa che la coscienza è sempre intenzionale e dunque che gli atti psichici
hanno la caratteristica di riferirsi sempre a un oggetto.
Dunque perché ci sia conoscenza intenzionale è indispensabile la presenza innanzitutto di un soggetto, cioè di un io capace di atti di conoscenza come il percepire, il giudicare, l’immaginare e il
ricordare; in secondo luogo è necessaria la presenza di un oggetto che si manifesta in atti quali i colori, le immagini, i pensieri, i ricordi, ecc.
Importante è anche distinguere tra l’apparire di un oggetto e l’oggetto che appare: è vero infatti che si conosce ciò che appare, ma è anche altrettanto vero che si vive l’apparire di ciò che appare.
Per questo motivo Husserl parla di “noesi” - cioè dell’avere coscienza - e di “noema” - ciò di cui si ha conoscenza, come ad esempio i fatti e le essenze -.
Il suo carattere intenzionale però non comporta di per sé una conoscenza realistica; essa infatti si riferisce ad altro, ma ciò non significa che questo altro esista veramente fuori dalla coscienza
stessa. Ciò che è importante invece è descrivere quello che effettivamente si dà a essa, quello che si manifesta e nei limiti in cui si manifesta. Ciò che si manifesta, ciò che appare, è appunto il
fenomeno.
Se l’obiettivo della fenomenologia è fondare se stessa come scienza rigorosa che guarda alle cose, alle cose stesse, e se, attraverso il metodo della sospensione del giudizio, arriva a individuare la
coscienza come l’unica capace di resistere agli attacchi della “epoché” (ciò che è assolutamente evidente è il “cogito” con i suoi “cogitata”), allora è a quest’ultima che si manifesta tutto ciò che
appare. Questa è una critica diretta al naturalismo e all’oggettivismo, aventi entrambi la pretesa di affermare che solo la verità scientifica è l’unica verità valida, dunque che solo il mondo
descritto dalle scienze è vera realtà. In questo modo infatti, secondo Husserl, si escludono di principio tutti quei problemi che sono i più scottanti per l’uomo, cioè quelli riguardanti il senso e
il non-senso dell’esistenza umana nel suo complesso e che fanno sentire l’uomo in balia del suo destino. Tali problemi infatti, sia nella loro generalità come nella loro necessità, esigono una
soluzione razionalmente fondata.
Per questo motivo giunge ad affermare che l’intuizione è autentica e adeguata modalità di conoscenza. Nelle “Ricerche logiche” troviamo enunciato il “principio di tutti i principi”:
“Ogni intuizione che presenta originariamente qualche cosa è di diritto fonte di conoscenza; tutto ciò che si offre a noi originariamente nell’intuizione (che ci si
offre, per così dire, in carne e ossa) deve essere assunto così come si offre, ma anche soltanto nei limiti in cui si offre” (11).
Se l’oggetto della indagine fenomenologica è l’esperienza vissuta che può essere colta e analizzata mediante l’intuizione, ciò che può
essere afferrato attraverso l’intuizione è una “species” di esperienza vissuta; questo significa che la conoscenza ha come presupposto soggettivo l’atto intuitivo e l’essenza come contenuto
dell’intuizione. Suo terreno proprio è quello della astrazione, cioè la ricerca di ciò che è essenziale, identico, immutabile, non l’esperienza vissuta concreta e particolare; per questo motivo si
pone in polemica con le interpretazioni empiriste e psicologiste ma, come acutamente osserva la Stein, fornisce proprio a esse quel fondamento teorico di cui quelle scienze in se stesse sono
prive.
L’intuizione dell’astratto, degli “oggetti generali”, è fondamentale nella prospettiva fenomenologica rispetto alla intuizione del concreto, dell’oggetto empiricamente dato come reale, così come del
resto la conoscenza del possibile è fondamentale rispetto a quella del reale.
Per Husserl una indagine ha senso solo in quanto ha una base intenzionale; l’atto di coscienza perciò non è pensabile e analizzabile che in relazione con l’oggetto e quest’ultimo non è pensabile e
analizzabile che in relazione al soggetto. In questo modo Husserl punta a liberare la filosofia da tutte quelle tendenze che pongono le basi della conoscenza nella relazione di un io con la realtà
esterna e trascendente della natura; il punto di vista intenzionale infatti non accetta il presupposto teorico che il soggetto e il mondo oggettivo entrino in relazione, nell’atto conoscitivo,
sussistendo già come un io e come una realtà oggettiva sussistenti in se stesse prima di entrare nella relazione. Centrale è la nozione di “esperienza vissuta”, all’interno della quale si articola la
distinzione e la relazione della coscienza e del suo oggetto: ciò che è vissuto non è preesistente all’atto dell’esperienza e nemmeno un elemento psicologicamente reale (come potrebbe per esempio
essere una sensazione, elemento reale della attività concreta del vedere).
Ne risulta così l’ “essenza pura” dell’esperienza, poiché da essa è stato eliminato ogni fattore contingente.
Un secondo concetto molto interessante di coscienza che emerge dalle “Ricerche logiche” è quello di percezione. Quella esterna è sempre per aspetti e dunque non può mai essere percezione della
totalità dell’oggetto; di contro, quella interiore può essere adeguata alla realtà (ad esempio uno stato interiore) di cui è percezione, perché in essa si verifica una certa qual coincidenza
oggettiva fra la coscienza che percepisce e l’oggetto che viene percepito. Proprio a questo riguardo c’è una abissale differenza di posizione tra Husserl e Brentano, perché mentre quest’ultimo
distingue tra fenomeni fisici (costituiti dalla apparenza o dalle qualità delle cose, senza alcuna esistenza intenzionale) e fenomeni psichici (costituiti dalle apparenze degli stati del soggetto),
Husserl ritiene intenzionali sia gli oggetti esterni sia quelli interni. Scrive Renzo Raggiunti:
"Per Husserl tanto gli oggetti cosiddetti esterni quanto gli oggetti cosiddetti interni (egli respinge queste denominazioni che considera di stampo naturalistico e positivistico), sono ugualmente intenzionali, ma non nel senso che essi rimangono delle pure intenzioni vuote, incapaci di darci l'oggetto « in persona» (leibhaftig)[...] Se intenzionale viene contrapposto a reale, e se alle qualità delle cose fisiche viene attribuita un'esistenza puramente intenzionale (nel senso di un'intenzione vuota che non raggiunge il proprio oggetto) mentre alle apparenze degli stati del soggetto viene attribuita un'esistenza reale nella coscienza, una tale distinzione viene necessariamente respinta da Husserl, perché per lui la distinzione tra fenomeni fisici e fenomeni psichici non può essere fondata né sulla trascedendenza, né sull'immanenza dei rispettivi oggetti” (12).
Tanto l’oggetto fisico quanto quello psichico infatti sono, per il fondatore della fenomenologia, immanenti; in un certo senso, tutti essi sono psichici e l’ “apparenza”
delle qualità fisiche è nella coscienza ed è indipendente dall’esistenza o non-esistenza reale trascendente di queste qualità. Declinando, si pensi all’importanza di questo nella percezione che ogni
persona ha dei fatti e delle altre persone.
Un terzo concetto, assai importante per la determinazione del significato di intenzionale, è quello di atto di coscienza, la cui caratteristica specifica è la sua relazione a un contenuto, cioè la
direzione verso un oggetto. Detto in altri termini, si tratta qui della oggettività immanente dell’atto di coscienza. La relazione che, nell’atto, si costituisce tra la coscienza e l’atto ha forme e
modalità diverse; dunque essi si differenziano tra loro per il modo di essere intenzionali. Le forme specifiche però non sono nozioni di origine empirica; l’intenzionalità infatti presenta diversità
specifiche che sono basate sull’essenza pura e dunque precede l’insieme dei fatti psicologici empirici. Per questo l’atto di coscienza intenzionale può porsi a fondamento di ogni successivo vissuto
psicologico. Per Husserl infatti non si potrebbe parlare di coscienza se non fosse possibile una conoscenza degli “oggetti generali”, cioè degli universali; quest’ultima, nella prospettiva
fenomenologica, si identifica precisamente con l’intuizione, ove l’oggetto è dato nella sua presenza autentica.
Inizialmente Husserl la identifica con l’intuizione sensibile, percettiva o immaginativa che sia; successivamente però, adeguandone il concetto agli oggetti generali, giunge a far ricorso a un tipo
non sensibile, che chiama “intuizione categoriale”. La coscienza delle generalità si realizza mediante un atto di “riempimento”, la cui essenza è intuitiva, che esclude l’individualità dell’oggetto e
ne conferma il senso specifico: è particolare dunque e afferra l’unità specifica sulla base intuitiva. Egli esclude che questo riempimento possa avvenire per mezzo della intuizione sensibile. E’
necessario ritornare all’atto percettivo, che ha senso e caratteri diversi a seconda che sia rivolto a oggetti reali, sensibili, o a oggetti categoriali, ideali. I primi sono di grado inferiore; per
l’oggetto sensibile l’essere dato in una maniera diretta nell’atto percettivo è necessariamente un atto fondante. La percezione sensibile inoltre implica uno o più atti del medesimo grado; per questo
gli atti semplici di essa sono la base, il fondamento, e sono inclusi o presupposti da quegli atti che generano invece una nuova coscienza di oggettività, che però presuppone essenzialmente la forma
primitiva. Questo secondo grado, superiore comprende gli oggetti categoriali o ideali. Le oggettività dunque che si mostrano negli atti fondati sono categoriali e gli atti fondati si identificano con
l’intuizione al livello soprasensibile. Considerando un flusso continuo di percezioni, a essere percepito è solo ed esclusivamente l’oggetto sensibile. L’identità diventa oggettiva quando questo
flusso percettivo viene assunto come fondamento di un atto nuovo che distingue le singole percezioni e mette in relazione i rispettivi oggetti. Ciò che è colto direttamente in un atto fondato è
perciò nuovo; Husserl lo identifica con la percezione soprasensibile, nella quale l’oggetto è dato “in persona”.
Argutamente sintetizza Angela Ales Bello:
"Il compito della fenomenologia è quello di indagarne l'origine dopo essere passati attraverso la riduzione.
Apparirà, però, sempre più chiaro a Husserl che l'obiettivo della fenomenologia non è quello di interessarsi di ciò che è oggettivo, ma di analizzare come l'oggettivo appaia alla coscienza e come
l'oggettività pura possa essere indagata nel suo manifestarsi, dopo la neutralizzazione di ogni posizione empirica; nonostante l'apparente coincidenza, il trascendentale husserliano si distingue da
quello kantiano perché non guarda le posizioni apriori della conoscenza empirica ma, data la dimensione empirica, si tratta di analizzare il modo in cui un certo contenuto si manifesta
nell'esperienza [...]
Tutte le analisi che egli compie sono ritenute essenziali, nel senso che individuano immediatamente, intuitivamente, le strutture fondamentali del conoscere, così come si danno, rispettando, da un
lato, il «principio di tutti i principi» indicato programmaticamente nelle Idee e proponendo un'indagine ostensiva e, pertanto, legittimamente fondata, che può essere definita «scientifica»”
(13).
(1) Johann Heinrich LAMBERT (Mulhouse, 1728 - Berlino 1777) è un fisico, matematico, astronomo e filosofo tedesco, di origine francese. Contemporaneo di Eulero, in campo matematico è annoverato tra i pionieri della geometria non euclidea, a motivo della sua analisi del quinto postulato di Euclide. Nel campo della fisica fa importanti studi di ottica che portano alla formulazione della legge del coseno; studiando l’assorbimento della luce, giunge alla creazione di uno dei primi diagrammi ottici. Nella sua opera più famosa, appunto il “Neues Organon”, sostiene la tesi che a priori le scienze possono venire costruite per combinazione di nozioni elementari, assunte come primitive, dando così un interessante contributo alla riflessione dell’allora discusso e problematico rapporto tra matematica e metafisica.
(2) Georg Wilhelm Friedrich HEGEL, (Stoccarda, 1770 - Berlino 1831) è un filosofo tedesco, considerato come l’esponente di maggior rilievo dell’idealismo tedesco. A partire dai lavori di Fichte e Schelling, suoi predecessori, sviluppa una filosofia innovativa. E’ del 1806 la stesura della sua prima grande opera “Fenomenologia dello Spirito”, che segna la rottura definitiva con Schelling e inaugura la fase matura del pensiero hegeliano, i cui capisaldi sono: a) la realtà in quanto tale è Spirito infinito (cioè Soggetto, attività, processo, automovimento, non Sostanza fissa e immutabile); b) la struttura e la vita stessa dello Spirito - e dunque anche la modalità di procedimento del sapere filosofico - è dialettica (nei suoi tre movimenti di tesi, antitesi e sintesi); c) caratteristica di questa dialettica è l’elemento speculativo (cioè la riaffermazione del positivo che si realizza mediante la negazione del negativo proprio delle antitesi dialettiche, cosicché il positivo della tesi viene posto a un livello più elevato).
(3) Franz Clemens Honoratus Hermann BRENTANO (Boppard, 1838 - Zurigo 1917), è un filosofo e psicologo tedesco, discendente da famiglia italiana. Prete cattolico, uscito
poi dalla Chiesa, insegna a Vienna (ove ha per allievo Edmund Husserl), per lungo tempo vive a Firenze e muore in Svizzera. Scrive molto su Aristotele, ma la sua opera di maggior successo è
“Psicologia dal punto di vista empirico”, del 1874; è qui che Brentano afferma il carattere intenzionale della coscienza ed è proprio questa intenzionalità a caratterizzare i fenomeni psichici (cioè
il fatto che si riferiscono sempre ad altro). Questi fenomeni psichici possono essere distinti in tre classi: a) rappresentazione (l’oggetto è semplicemente presente); b) giudizio (l’oggetto viene
affermato o negato); c) sentimento (l’oggetto viene amato oppure odiato).
(4) Alexander PFÄNDER (Iserlohn, 1870 - Monaco di Baviera 1941) è un filosofo tedesco, fenomenologo del circolo di Monaco. Studente di ingegneria, viene attirato dalla
filosofia di Theodor Lipps. Inizialmente si dedica alla psicologia, ma il disaccordo con le correnti di pensiero imperanti lo fa volgere, come Edith Stein, verso la fenomenologia di Husserl, che
incontra personalmente nel 1904. Quando Husserl nel 1913 pubblica le “Idee”, Pfänder e altri fenomenologi della prima ora prendono le distanze da lui, preferendo rimanere più legati al realismo delle
“Ricerche logiche” che non alla fenomenologia trascendentale; da qui nasce la corrente della “fenomenologia di Monaco”.
(5) vedi http://www.edithstein.name/fenomenologia-e-dintorni/circolo-di-gottinga/
(6) COSTA V. - FRANZINI E. - SPINACCI P., La fenomenologia, p. 116, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2002.
(7) idem, pp.115-116.
(8) vedi http://www.edithstein.name/fenomenologia-e-dintorni/circolo-di-gottinga/
(9) Bernard Placidus Johann Nepomuk BOLZANO (Praga, 1781-1848), matematico, filosofo, teologo, logico e prete cattolico (poi sospeso a divinis) boemo, scrive in lingua
tedesca dapprima di matematico, poi elaborando la “Dottrina della scienza” in cui si afferma che: a) la “proposizione in sé” è il puro significato logico di un enunciato e non dipende dal fatto che
esso venga pensato o espresso; b) la “verità in sé” è data da qualsiasi proposizione valida, sia che essa sia o non sia pensata e/o espressa. Ne risulta dunque che la validità di un principio logico,
come ad esempio quello della non-contraddizione, resta tale sia che sia o non sia pensato, sia che sia o non sia espresso. le proposizioni possono poi derivare una dall’altra ed entrare in
contraddizione: esse fanno infatti parte di un mondo logico-oggettivo e sono perciò indipendenti dalle condizioni soggettive del conoscere.
(10) REALE G.- ANTISERI D., Storia della filosofia, volume 3, p. 557, Editrice La Scuola, Brescia, 1997.
(11) HUSSERL E., Ricerche logiche, Il Saggiatore, Milano, 1968.
(12) RAGGIUNTI R., Introduzione a Husserl, pp.30-31, Edizioni Laterza, Bari, 1970.
(13) ALES BELLO A., L'universo nella coscienza - Introduzione alla fenomenologia di Edmund Husserl, Edith Stein, Hedwig Conrad -Martius, pp. 25-26, Edizioni ETS, Pisa,
2007.