EDITH STEIN
EDITH STEIN

Settima Dimora: il matrimonio spirituale

 E’ la meta del cammino spirituale, riservata non a pochi eletti, ma a tutti i cristiani: Teresa testimonia che qui si celebra il “matrimonio spirituale” tra Dio e la persona; con un linguaggio forse meno affettivo, S. Giovanni della Croce definisce questo livello di vita spirituale come “unione trasformante”, cioè la più alta forma di unione tra la persona e Dio, che avviene passando sempre per l’umanità di Gesù. Essa prende la persona tutta intera, nel suo corpo, nella sua anima e nel suo spirito: per questo, la simbologia nuziale è probabilmente quella che meglio esprime tale relazione, sebbene sempre in forma inadeguata. 

La settima Dimora è quella centrale, la più interiore e la più bella. Qui vi abita Dio e la stessa persona non può entrarvi se non è Dio ad aprire dall’interno la porta e a introdurla. E’ un “luogo” esclusivamente spirituale. Ora la persona intuisce con chiarezza, riguardo a se stessa, cosa è l’anima (Seele) e cosa è lo spirito (Geist), dunque discerne la natura dei suoi movimenti interiori. Questa Stanza è esclusiva proprietà di Dio. Se liberamente la persona sceglie di rifiutare la grazia di Dio, Egli non abbandona questo luogo interiore della persona, la quale però entra in uno stato di conflittualità: il respingere Dio è infatti un atto della volontà che si compie a livello di anima, ma lo spirito dell’uomo continua a esistere e ad anelare di essere unito allo Spirito: l’impedire questo congiungimento è ciò che scatena il dissidio. Accogliere invece l’invito di Dio e lasciarsi condurre verso l’unione trasformante fa sì che lo spirito raggiunga il suo compimento e la persona si ritrovi in uno stato di pienezza e di autentico compimento.

Introdotta nella 7° Dimora, alla persona è dato di contemplare Dio non solo nella sua Essenza (Amore), ma anche nella sua identità: Trinità, Tre Persone Divine, unica Sostanza, in reciproca relazione d’amore. Padre e Figlio e Spirito Santo però non sono chiusi in se stessi: al contrario, essi introducono la persona all’interno della loro intimità relazionale. Per la persona questo è sommo gaudio, perché nulla fa gioire più dell’essere amati; essendo però unione trasformante, la passione d’amore che ha spinto i Tre a dare origine alla Creazione prima e alla Redenzione poi, diventa passione d’amore anche nella persona. Esattamente questo è l’effetto del “matrimonio spirituale”: un incontenibile desiderio di servire ogni fratello e ogni sorella perché possa fare esperienza dell’amore di Dio e così iniziare anch’egli/ella il cammino spirituale verso la 7° Dimora. Questa passione missionaria non conosce confini e non bada a fatiche: la persona non conosce più tempi e spazi “per sé”, perché l’Amore la spinge continuamente fuori da se stessa. Le opere si moltiplicano, i ritmi divengono accelerati, ma la persona, interiormente, è calma, lontana da ogni affanno. La sua relazione con la Trinità è divenuta stabile e costante, indissolubile: anche negli inevitabili momenti di prova, non viene sopraffatta dal turbamento, perché affronta ogni vicenda in unione con Loro e forte della relazione con Loro. E’ la Trinità il suo centro e la sua forza: il “Nada te turbe…” è 24/24h. Ciò non significa che la persona non sperimenta più dolore, o fatica, o delusione: è però una sofferenza pacificata, che non sconvolge più l’interiorità, che non fa venir meno la pace. E’ il compimento di quella parola di S. Paolo: “Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?  […] Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,35-38).

Percependosi amata in maniera così forte, dentro una relazione che ha il sapore del “per sempre”, la persona è certa che Dio si prende cura di lei: anche per questo resta nella pace quando viene raggiunta dalla sofferenza. 

Ci sono poi sofferenze legate proprio alla “missione”: fatiche, ma anche incomprensioni, rifiuti, fraintendimenti, ecc. Nulla però è mai “troppo”: il termine di paragone infatti è l’amore dimostrato da Gesù nella passione. Per questo non c’è limite, pur di guadagnare a Cristo i fratelli, come ha scritto S. Paolo: “Ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all'ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo diventati spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini. Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati. Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo schiaffeggiati, andiamo vagando di luogo in luogo, ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi. Non per farvi vergognare vi scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei carissimi. Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il vangelo. (1 Cor 4,9-16)

Ancora, in questa Stanza, vive consapevolmente continuamente su due livelli: uno interiore, ove è continua relazione con la Trinità, e uno esteriore, ove ci si occupa delle varie attività e si relaziona con gli altri. Non c’è conflittualità tra i due, né l’attenzione riservata all’ uno è a scapito di quella riservata all’altro. Questo perché ogni movimento esterno viene ricondotto all’interno, alla Trinità, e la Trinità viene percepita, grazie allo sguardo contemplativo, come l’essenza ultima di ogni persona, di ogni cosa, di ogni avvenimento, di ogni realtà, di ogni relazione.

Dunque il frutto maturo dell’unione trasformante è la sintesi tra azione e contemplazione, cioè tra massima intimità con Dio e massima missionarietà. Poco importa cosa poi concretamente si fa, ciò dipende da molti fattori quali la vocazione personale, la storia di ciascuno, il contesto in cui si è, ecc; importante è l’oblio di sé e la piena disponibilità a operare con Dio, ove e come Lui vuole, per la salvezza dei fratelli. Persino il desiderio di vedere Lui svelato - anelito ardente della 6° stanza - passa in secondo piano, perché il baricentro non è più il proprio io, ma la Trinità, dunque la passione d’amore che arde tra i Tre e che si riversa all’esterno sulla Creazione tutta.

Come dice S. Paolo: Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa debba scegliere. Sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; d'altra parte, è più necessario per voi che io rimanga nella carne. Per conto mio, sono convinto che resterò e continuerò a essere d'aiuto a voi tutti, per il progresso e la gioia della vostra fede” (Fil 1,21-25).

Questo fino all’ultimo istante di vita sulla terra…fino a che l’unione trasformante non si muta in unione perfetta, nella vita che continua…senza fine…

 

 

*   *   *

 

“Nel corso di una visione intellettuale […] le Tre Persone si chiamano sul suo spirito. Per un miracolo di conoscenza che le viene concesso, l’anima vede con la più assoluta certezza come le Tre Persone siano una sola essenza, una sola potenza, un’unica scienza e una sola divinità.

[…] La «divina compagnia» ormai non abbandona più l’anima, che però non vede sempre così chiaramente come la prima volta: solo Dio può rinnovarle questa chiarezza. L’anima non può restare costantemente immersa in questa contemplazione, ma deve compiere i suoi doveri.

[…] E’ come se l’essenza dell’anima […] fosse divisa, fungendo al contempo da Marta e Maria” (Edith)

 
Stampa | Mappa del sito
© Edithstein Via Santa Maddalena 2 20900 Monza Partita IVA: