EDITH STEIN
EDITH STEIN

Quinta Dimora: la trasfigurazione

 Teresa indica la Quinta Dimora come il luogo della metamorfosi o, per dirla in termini tipicamente evangelici, della trasfigurazione.

Come è stato più volte già sottolineato, il percorso attraverso le varie stanze è caratterizzato da un approfondirsi sempre maggiore della relazione con Dio e da una preghiera che si va facendo sempre più profonda. 

In questa particolare stanza Teresa parla di “preghiera di unione”, cioè di un rapporto con Dio particolarmente stretto e in cui si possono avere - ma non necessariamente! - anche delle grazie mistiche speciali.

Nell’atto creatore di Dio è già compreso il suo progetto su ciascuno di noi; la nostra vocazione infatti non è qualcosa di aggiunto, ma è la modalità migliore per noi di realizzarci come persone, proprio per come siamo fatte. Dentro ogni vocazione è compresa, naturalmente, la missione: Dio infatti ci vuole al suo fianco per operare con Lui nel mondo. Perché ciò accada è però necessario che prima ci lasciamo noi educare da Dio, lasciamo che Lui agisca nel nostro cuore, perché assuma la Sua forma e abbia in sé i Suoi medesimi sentimenti. Questo percorso formativo avviene grazie all’opera di Dio, che lavora però in sinergia con noi. Lo abbiamo già visto nelle dimore precedenti, ma anche in questa Quinta Stanza alla persona è comunque richiesta una collaborazione: è una collaborazione “passiva”, cioè la libera scelta di mettersi in uno stato di accoglienza e di disponibilità sempre più piena, attenta a divenire sempre più consapevole di ciò che Dio va operando in noi.

Il primo canale di unione con Dio è quello che avviene tramite i sacramenti, in primo luogo nel Battesimo. Tale unione è indissolubile. Molti sono i riferimenti scritturisti, le Lettere di S. Paolo soprattutto:

  • Col 3,3-4
  • Rm 6,3-4.6
  • Rm 6,13
  • Fil 1,21

Gli altri sacramenti - l’Eucaristia soprattutto - sono un continuo reinnestarsi nella morte e risurrezione di Gesù.

La preghiera di unione di cui Teresa parla in questa Dimora perciò non è per nulla qualcosa di straordinario, riservato magari a pochi eletti; al contrario, è vocazione universale di tutti i battezzati, è sperimentazione personale di quella assimilazione a Gesù che è frutto prima di tutto del Battesimo.

Perché la persona abbia in sé gli stessi sentimenti di Gesù è necessario che Egli divenga per lei la “dimora” unica e amata; questo va desiderato in maniera ardente. I due protagonisti devono scegliere di volersi contemplare più da vicino. 

Dio è certamente “impaziente” di mostrarsi. Non cessa di essere padre ricco di misericordia, che sa attendere il ritorno del figlio; nemmeno cessa di essere amico fedele e discreto; in questa dimora però mostra anche il suo essere “sposo” desideroso di donare e di donarsi con sovrabbondanza. Dall’altra parte la persona inizia a percepire che l’amore di Dio è anche travolgente e che chiede di avere come misura il “tutto”. E’ forte la spinta a rinunciare alle sue proprie misure umane, perché presa dentro dalla reciprocità dell’amore. Naturalmente la misura divina e quella umana sono assolutamente diverse (il tutto di Dio non è certo il tutto dell’uomo!), ma non ha alcuna importanza. Essenziale è il “dare tutto”, cosicché Dio e la persona si possono incontrare “nella totalità”. 

In questa Quinta Dimora la relazione con Dio non solo cresce, ma assume il colore dell’intimità. E’ soprattutto unione di volontà. Quale è in ultima analisi la Volontà di Dio? E’ il duplice comandamento dell’amore, semplicemente, che però in questa Dimora chiede di essere vissuto con perfezione. Si tratta cioè non solo di amare il prossimo, ma di amarlo con la stessa perfezione con cui ama Dio. Non viene abbandonata la prospettiva ascetica (cioè amare badando anche alle piccole cose), ma viene arricchita da quella cristologica. In Gesù, Dio per primo si è fatto prossimo a ogni uomo, nessuno escluso. Dunque amare con perfezione significa farsi prossimo di ogni uomo, perché ognuno è meritevole del nostro amore, perché Dio per primo lo ha amato e gli si è fatto prossimo.

L’amore di cui si parla nella Quinta Dimora non è il fervore passeggero, né i pii desideri o le più varie devozioni. E’ un amore assolutamente concreto, operoso, “coi muscoli”, fatto di gesti e azioni. 

Quella “unione con Dio” che cerca il benessere interiore, che vuole allontanare la sofferenza, che estranea dalle necessità del prossimo non è affatto unione con Dio, ma puro egoismo. La vera unione con Dio fa andare in cerca della sofferenza del prossimo per assumerla su di sé. Chi è veramente unito a Dio non riesce a stare fermo, va sempre a cercare il prossimo per coinvolgerlo nella dinamica dell’amore. Il suo cuore è come dilatato, tutto preso dall’ansia missionaria di far conoscere e amare Dio, come anche di mettersi al servizio di Dio per lenire i dolori del prossimo. 

C’è un vero “protagonismo ecclesiale” nella persona che dimora in questa stanza.

La sua postura interiore si fa sempre più morbida, passiva perché ricettiva. 

Nella relazione con Dio non ha bisogno di far uso di molte parole: il rapporto si nutre di continui sguardi che sostengono la conoscenza sempre più intima e profonda. 

Non mancano i pericoli:

  • il diavolo, vestito da “angelo di luce”, molto si adopera nel tentativo di staccarla da Dio
  • la persona può comunque cedere alla pigrizia e lasciare che l’amore si raffreddi. Si comprende quando questo accade perché la persona si fa più oziosa. L’amore infatti è sempre dinamico.

Teresa però dice che, una volta che si è autenticamente sperimentata l’unione con Dio, anche se la persona inizia a “perdersi” o a essere “meno fedele” a Dio, resta comunque capace di fare del bene agli altri fino a che non ha messo a pieno frutto tutto il bene che ha comunque ricevuto da Dio. Questa è la natura dell’amore divino, che mai si riprende i doni elargiti! E tale è la trasformazione del cuore della persona: irreversibile! 

Lui. 

 

 

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 “E’ del tutto impossibile entrare nella «cella del vino» con sforzi personali […] Ma l’anima è capace di fare con le proprie forze un lavoro preparatorio a tutto questo.

[…] Questo desiderio di lavorare per amore di Dio alla salvezza delle anime è il miglior frutto dell’unione.

[…] Esistono quindi due strade per unirsi a Dire giungere così alla perfezione dell’amore: la prima è un salire faticoso con le proprie forze, ovviamente con l’aiuto di Dio; la seconda è un essere trascinati in alto che risparmia al soggetto molto lavoro, ma la cui preparazione e traduzione in atto pone pesanti richieste alla volontà” (Edith) 

 
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