EDITH STEIN
EDITH STEIN

Il castello dell'anima

Da sempre la Persona è stata al centro degli interessi di Edith.

Se da giovane fenomenologa il suo interesse si è focalizzato sulle dinamiche relazionali che l’essere umano vive e ha individuato nell’empatia la forma che più gli corrisponde, successivamente la sua attenzione si è rivolta alla struttura dell’uomo in quanto tale. L’accoglienza del dato religioso le ha permesso di individuare le tre parti fondamentali che lo costituiscono e, sempre utilizzando il metodo fenomenologico, ne ha indagato la struttura. 

Prima di scegliere il cristianesimo - e la confessione cattolica - Edith ha studiato per oltre cinque anni la Rivelazione; anche dopo aver ricevuto il battesimo ha proseguito nell’approfondimento teologico, accostando in modo particolare Tommaso d’Aquino. Il tomismo ha infatti fatto la parte del leone nella speculazione cristiana, ma la sua struttura di pensiero e il suo linguaggio sono assai lontani dalla sensibilità del Novecento. Edith lo comprende immediatamente, per questo non solo traduce le “Quaestiones” dal latino al tedesco commentandole, ma anche riflette sull’Essere e sull’Essenza - soggetto tipicamente tomista - da fenomenologa, proprio perché sente importante prima di tutto per sé e poi anche per gli altri attualizzare e inculturare le grandi Verità teologiche. Non diversamente è per il campo spirituale. Si sa quanto importante sia stata per lei la lettura della “Vita” di Teresa d’Avila. La conoscenza della grande mistica spagnola è poi naturalmente proseguita e si è imbattuta nelle pagine del “Castello Interiore”, ove Teresa paragona la parte spirituale della persona appunto a un castello dalle molte stanze, la centrale delle quali è abitata da Dio (è il grande tema della inabilitazione trinitaria), e ove si vive la relazione con Lui, in un crescendo di intimità. Come per le pagine di Tommaso, anche per quelle di Teresa però la diversità culturale (c’è un abisso tra il 1600 e il 1900!!) e le espressioni ormai desuete rischiano di non permettere - quando non addirittura di allontanare - i contemporanei dall’accostarsi a questi capolavori spirituali… ed essi restano privi di un gran tesoro. 

Per questo motivo Edith sceglie di scrivere un breve commento all’opera (1935), in modo da attualizzare l’eterna esperienza di Dio. Naturalmente il taglio e il linguaggio sono assolutamente legati alla fenomenologia.

 

E’ però forse opportuno, prima di inoltrarsi nei testi delle due grandi sante, aprire una parentesi circa la fenomenologia, il suo metodo e il suo linguaggio, in modo da poter cogliere le peculiarità dell’analisi e del commento di Edith.

Naturalmente il filosofo a cui è necessario riferirsi è Edmund Husserl, fondatore di questa corrente di pensiero e maestro di Edith (con lui discuterà la sua tesi sull’empatia e di lui sarà poi, per qualche tempo, assistente)

 

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