Una precisazione importante da fare, all’inizio di questo itinerario, è che parlare della dimensione spirituale della persona in termini di “7 Dimore” è una schematizzazione riduttiva all’eccesso, come afferma la stessa Teresa. In realtà il Castello è assolutamente unico e irripetibile per ogni singola persona e contiene una infinità di stanze…
E’ molto importante tenere presente questo per non rischiare di cadere nella trappola della rigidità: ogni persona, unica, sfugge a ogni schema e deborda da ogni classificazione.
Pur tuttavia il focalizzare l’attenzione su queste 7 è importante, perché esse segnano comunque delle tappe fondamentali nell’itinerario dell’orazione, dunque dell’amicizia con Dio. Ovviamente esse non sono affatto “luoghi”, ma dei modi di essere, degli atteggiamenti con i quali la persona si pone in relazione con Dio. Ad accomunarle è il fatto che sono tutti modi concreti di amare quel Dio che chiama e attrae a Sé: a cambiare, da una stanza all’altra, è la modalità di amare, non l’intensità di amore…
Un’ultima avvertenza che ci suggerisce Teresa è quella di guardarsi dalla tentazione di usare lo schema delle 7 stanze per controllare/valutare il proprio itinerario di preghiera: al di là che Dio è sommamente libero di condurre le persone come vuole (e dunque anche per un sentiero completamente diverso da questo delle 7 stanze), l’autovalutazione è sempre da evitare perché, soprattutto a livello spirituale, nessuno è buon giudice di se stesso (si pensi solo alle notti e alla alterazione percettiva che portano con sé!).
Non entra nel Castello la persona che vive in peccato mortale: non chi commette un peccato mortale (questo può accadere anche a chi è in uno stadio avanzato di preghiera, perché la natura umana è fragile), ma chi fa del peccato mortale il suo “habitus”. Anche nel centro della sua anima Dio risplende come un sole, ma il peccato oscura le pareti della stanza, cosicché il resto del Castello resta avvolto dalle tenebre.
Scegliere di entrare nel Castello è il cambiamento più consistente perché richiede un vero mutamento di abitudini, di stile di vita, di modalità di pensiero, di riferimenti valoriali, ecc. La persona percepisce una aspirazione alla vita spirituale, ma ancora non ne ha esperienza; le tentazioni a tornare alla vita precedente sono forti, quindi la lotta che deve sostenere è notevole e assorbe molte energie.
Ciò che deve maturare nella persona che abita la prima Dimora è la conoscenza di se stessa. Questo è il principio di ogni saggezza, anche semplicemente umana (pensiamo al tempio di Delfi! In realtà in tutte le tradizioni religiose e in tutte le culture è presente il monito “Conosci te stesso!”).
I Padri della Chiesa però hanno da subito corretto la prospettiva: la conoscenza di se stessi, per essere autentica, deve procedere di pari passo con la conoscenza di Dio.
In ambito cristiano il riferimento è naturalmente alla Rivelazione. Il primo passo, riferendosi all’Antico Testamento, nella conoscenza di sé passa attraverso l’atto creatore di Dio, ma anche attraverso la presa di coscienza del peccato e delle sue conseguenze. Fermarsi qui però è assai pericoloso, perché si rischia di struggersi di nostalgia per la bellezza iniziale…però perduta, dunque di cadere nello sconforto… E’ perciò fondamentale il secondo passo, cioè quello di riferirsi al Nuovo Testamento, in cui la conoscenza di sé si misura con Gesù: Egli entra personalmente nelle tenebre, prende su di Sé la condizione dell’uomo e gli restituisce la sua primigenia bellezza con la sua morte e risurrezione. In Lui e per Lui infatti gli inferi vengono abitati da Dio, dunque per l’uomo non esiste più la notte dell’abbandono. Nella prima Dimora la persona è chiamata a maturare proprio questa duplice conoscenza, di sé e di Dio: per questo può iniziare il cammino di amicizia con Colui dal quale si percepisce sommamente amata.
Teresa fa notare però che la conoscenza di sé ha dei riverberi anche a livello psicologico: la conoscenza di sé, soprattutto in relazione alle proprie fragilità, debolezze, ecc. può minare l’autostima, portare al ripiegamento, generare frustrazione e far scattare meccanismi di difesa. Il cammino rischia dunque di arrestarsi già a questo primo livello. Per questo Teresa invita a non distogliere mai gli occhi dalla bellezza della creatura così come, in principio, è uscita dalle mani del Creatore. Anche se la conoscenza di sé porta a prendere coscienza delle proprie deformità, la misericordia di Dio è il luogo in cui questa conoscenza avviene e il frutto che ne deve scaturire è l’umiltà: ognuno è immensamente amato da Dio…gratis, non per merito!
C’è però una umiltà ancora più grande: quella di Dio, che si è abbassato fino a noi.
Dunque la consapevolezza della propria miseria diventa una sorgente di gioia, perché è la testimonianza che assolutamente nulla, come dice S. Paolo nella sua Lettera ai Romani, ci può separare dall’amore di Cristo.
Pregare, in questa prima Dimora, significa esattamente questo: non distogliere gli occhi dall’umiltà di Dio e lasciarsi pervadere dalla gioia che Dio prova nell’abbassarsi, perché ci raggiunge.
Ovviamente questo non deve diventare motivo per crogiolarsi nella propria miseria. Al contrario, è bene coltivare il desiderio di uscire al più presto da questa prima Dimora, esprimendo la volontà di continuare a camminare e di progredire.
E’ umiltà anche la fatica di pregare, il non riuscire, l’essere distratti, la tentazione di lasciar perdere, il non veder chiaro sulla propria situazione, la nostalgia per quello che si è lasciato: realismo è riconoscere tutto ciò, preghiera è offrire questa fatica a Dio con amore.
Teresa parla però di “determinata determinazione” a non tornare indietro: è la fortezza di chi non si dibatte nelle proprie fatiche, ma di chi sta quieto, in silenzio, in esse, nella certezza di essere sotto lo sguardo amorevole di Dio.
Tre sono i consigli offerti da Teresa per la preghiera:
Naturalmente la conoscenza di sé deve essere accompagnata da un oggettivo cambiamento progressivo della vita, che deve farsi più sobria, più libera dalle inutili distrazioni.
Quando Dio vede che la persona si è bene assestata nella prima Dimora, allora la inviterà a entrare più profondamente nel Castello, mostrandogli la porta della seconda Dimora.
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“La prima stanza in cui si entra attraverso la porta è l’autoconoscenza. Non si possono alzare gli occhi a Dio senza divenire consapevoli della propria bassezza. La conoscenza di Dio e la conoscenza di sé si sostengono a vicenda. Mediante l’autoconoscenza ci si avvicina a Dio. Perciò essa non è mai superflua anche se si è già arrivati nelle stanze più interne” (Edith)