Terminato il Liceo, Edith non si interessa più in maniera attiva della questione femminile: la sua ricerca interiore verte su temi antropologici in senso più ampio,
cioè sulla struttura dell’essere umano - uomo o donna che sia - e sulla dinamica relazionale, come abbiamo ampiamente avuto modo di vedere trattando il tema dell’empatia.
Mentre è insegnante dalle domenicane di Spira, la sua fama si diffonde in ambito cattolico e per questo motivo inizia a essere invitata a tenere riflessioni all’interno di convegni e seminari; se
infatti sulla carta le donne, a partire dal 1918, hanno ottenuto i diritti reclamati, il loro inserimento nel tessuto sociale è tutt’altro che esente da difficoltà: esse sono chiamate infatti non
solo a trovare una loro propria identità, ma anche ad armonizzare il loro nuovo ruolo con quello tradizionale di spose e di madri.
Anche in ambito cattolico c’è gran fermento: per questo vengono organizzati appunto seminari e convegni ed Edith viene invitata come relatrice. Questa la ragione per cui torna a interessarsi della
questione. Sebbene non sia né sposa né madre, è però da sempre inserita nell’ambito lavorativo, quindi le sue considerazioni poggiano anche su una sua esperienza personale.
La prima conferenza tenuta da Edith - per quello che è dato di conoscere fino a oggi - porta il titolo “Il valore peculiare della donna e la sua importanza per la vita del popolo”. Ad invitarla è
stata la presidenza della “Unione Insegnanti Cattoliche della Baviera”, associazione che più tardi prenderà il nome di “Unione Insegnanti Cattoliche Tedesche”. La relazione è inserita nel contesto
della Assemblea Generale dell’Unione, dedicata al tema generale “Formazione delle donne e compiti odierni”, che si svolse a Ludwigshafen dall’11 al 14 aprile 1928. La conferenza di Edith è giovedì 12
aprile alle ore 10. Un sunto dell’intervento viene poi pubblicato dalla rivista “Zeit und Schule” nel n° 9, editata il 1° maggio 1928. Il manoscritto è invece conservato nell’Archivio di Colonia, ove
sono conservati e catalogati tutti i manoscritti di Edith. Tra l’altro, per chi fosse interessato, questo archivio è consultabile anche online all’indirizzo www.edith-stein-archiv.de. Contiene
anche interessante materiale fotografico; avviso però che il sito è tutto in tedesco. Vale comunque la pena dare un’occhiata.
Edith inizia la sua relazione con una nota personale, dicendo che arrivava al Convegno dopo aver trascorso una settimana di silenzio e di preghiera all’Abbazia
benedettina di Beuron. E’ consuetudine per lei trascorrere lì la Settimana Santa; l’Abate Raphael Walzer è inoltre il suo direttore spirituale, per cui per Edith questo luogo è quanto mai familiare.
Il contrasto tra la solitudine di quel luogo di preghiera e l’assemblea in cui vengono discussi temi di attualità è ovviamente stridente, ma per Edith non è altro che l’occasione per richiamare
un dato molto importante: la necessità che la vita spirituale, il rapporto con la SS. Trinità, la preghiera si declinino poi nel vissuto quotidiano, animandolo dall’interno. E’ presente sempre e per
tutti infatti il rischio di vivere come su due binari paralleli: la dimensione dell’interiorità e quella della attività. Così facendo si cade nell’angelico disincarnato da una parte e nell’attivismo
dall’altra. Tenendo invece insieme queste due dimensioni, allora l’attività ha sapore di Vangelo vissuto.
Un altro aspetto interessante che val la pena sottolineare è che sappiamo che Edith inizialmente aveva esposto le sue perplessità quando era stata invitata a tenere questa conferenza: da anni infatti
viveva appunto presso le domenicane di Spira ove, oltre all’insegnamento, si dedicava allo studio di S. Tommaso d’Aquino e alla traduzione delle “Quaestiones” in tedesco. Sono questi infatti gli anni
immediatamente a ridosso del suo ingresso nella Chiesa Cattolica, avvenuto il 1° gennaio 1922. Come abbiamo già avuto modo di dire, è una informazione scorretta quella circolante, secondo la quale
Edith avrebbe deciso a seguito della lettura notturna della “Vita” di Teresa d’Avila: quella è stata la circostanza determinante per la scelta della confessione cattolica rispetto a quella
protestante, ma gli anni tra il 1917 e il 1921 sono caratterizzati da numerose letture di autori cristiani, dall’approfondimento teologico, ecc. Tale percorso, oltretutto, è molto più coerente con la
personalità di Edith, che pondera ogni scelta e sviscera ogni questione: una decisione presa in una notte, a seguito di una lettura autobiografica, sarebbe assolutamente in contraddizione con il
generale cammino di Edith e soprattutto con il suo modo di essere. Ebbene, anche dopo il suo ingresso nella Chiesa Cattolica, Edith prosegue la sua formazione. In modo particolare si dedica alla
lettura critica di S. Tommaso perché, come ben sappiamo, la Scolastica fa la parte del leone all’interno dell’impianto teologico cattolico, anche contemporaneo. Edith ha una solida base filosofica,
ma di matrice fenomenologia, non aristotelica. E’ dunque importante per lei mettere a confronto i due sistemi…e anche tentare di tradurre in linguaggio più moderno - e dunque più comprensibile ai
contemporanei - le verità di sempre, ma che se espresse con categorie culturali lontane dalla sensibilità moderna, rischiano di rimanere incomprese. Gli anni di Spira sono dunque caratterizzati da un
forte impegno culturale e spirituale, ma effettivamente lontano dai fermenti che agitano le donne di Germania del tempo.
In realtà sappiamo innanzitutto che Edith, sebbene impegnata su altro fronte, non è fuori dal contesto sociale: oltre al quotidiano contatto con le studentesse e con gli altri insegnanti, legge i
quotidiani e segue le vicende politiche della Germania e dell’intera Europa (altrimenti non si spiegherebbe come mai, fina dal 1933, intuisce la drammatica pericolosità dell’ascesa al potere di
Hitler, al punto da arrivare a scrivere al Sommo Pontefice chiedendo un suo esplicito intervento… E questo quando molti, anche tra la gerarchia cattolica, sono assolutamente miopi).
In secondo luogo, come possiamo constatare dalla storia, le letture più acute non sono fatte da chi è sulle barricate, o da chi si immerge a capofitto nei tumulti delle vicende, bensì da chi sa porsi
alla corretta distanza, da chi partecipa, ma senza venir travolto. E’ un po’ come la lettura: il libro troppo vicino o esageratamente lontano non può essere letto, ci vuole la distanza corretta. Lo
stesso è per le vicende della vita: l’alternanza tra il vissuto in prima linea e le pause di silenzio riflessivo sono il dinamismo che meglio permette di comprendere il senso degli eventi. Per questo
motivo Edith è certamente in una posizione adeguata per parlare alle donne sue contemporanee, forse più immerse nella lotta per trovare un equilibrio tra le diverse tensioni.
Edith inizia la sua conferenza evidenziando come la parola che aveva caratterizzato l’intero movimento femminista era “emancipazione”; la Costituzione di Weimar aveva
risposto in maniera celere e con somma larghezza a tale richiesta. Tale Costituzione fu votata dall’Assemblea Nazionale il 19 gennaio 1919 ed entrò in vigore l’11 agosto del medesimo anno. L’articolo
109 così si esprime: “ Tutti i Tedeschi sono uguali davanti alla legge. Uomini e donne hanno di principio gli stessi diritti e doveri civili”, l’articolo 22 invece: “I rappresentanti vengono eletti
con un voto generale, eguale, diretto e segreto da uomini e donne che abbiano superato il ventesimo anno di età, secondo i principi del sistema proporzionale”. Tale ampio respiro aveva sorpreso
persino le più spiccate avanguardie femminili, apriva scenari inediti, placava lotte e rivendicazioni… ma era una novità talmente radicale che non c’erano modelli a cui fare riferimento e a cui
potersi ispirare.
Edith tiene questa conferenza quasi una decina d’anni dopo, quindi in una situazione di maggiore serenità e obiettività, nonché con la ricchezza derivante dall’avere alle spalle della storia vissuta
- dunque di non parlare in teoria o per slogan più o meno ideologizzati -.
In tale contesto la specificità femminile è ormai un dato di fatto ovvio, di cui si piò parlare con serenità. A ciò si aggiunge un mutamento sociale: il forte individualismo che ha caratterizzato il
XIX secolo cede il passo a un rinnovato interesse per il “sociale” e ad avere rilevanza è ciò che porta beneficio alla comunità. Questo dato gioca a buon pro per l’emergere e l’affermarsi di ciò che
è specificamente femminile.
I tratti distintivi che caratterizzano l’uomo e lai donna che Edith sceglie di porre in luce in questa conferenza sono sostanzialmente due.
Il primo consiste nel fatto che l’uomo è tendenzialmente più attento alle cose: gli è più naturale dedicare a esse le sue energie sottomettendosi alle regole intrinseche alle cose stesse. Per “cose”
si intendono non tanto gli oggetti, quanto gli ambiti, come la matematica, o la tecnica, o il commercio, o l’artigianato. Al contrario, la donna è molto più attenta alla persona viva e concreta,
dunque alle circostanze e ai casi personali.
Il secondo consiste invece nel fatto che per l’uomo la sottomissione a una “cosa” e alle sue leggi porta, come conseguenza, a uno sviluppo sostanzialmente unilaterale: raggiunge cioè gradi elevati di
competenza, ma in un settore unico, molto preciso. Al contrario la donna ha in sé un impulso molto forte alla pienezza e alla completezza; questo fa sì che desideri ella stessa diventare una persona
sviluppata in tutte le direzioni, ma anche che tenti di aiutare gli altri affinché giungano a diventare esseri umani in tutta la loro pienezza. Vi è una tendenza a tener conto di tutta intera la
persona e di tutte quante le persone.
Riguardo a quest’ultima caratteristica della donna Edith si affretta subito a specificare che esso è un semplice dato di fatto, ma che in se stesso non ha valore alcuno: al contrario, necessita della
presa di coscienza della sua esistenza e della decisione di educare tale tendenza naturale perché sia possibile un vero servizio agli altri, dopo essere diventati prima persone autenticamente
formate, mature e adulte.
L’attenzione alla persona è un valore oggettivo perché in effetti la persona è al di sopra di tutte le altre cose, il cui valore è relativo proprio alla persona stessa. Archetipo della persona è poi
il Creatore, che racchiude in sé e trascende tutti i valori esistenti. Dio è creatore di tutte le cose, ma ha fatto soltanto l’uomo a sua immagine: per questo il suo valore è superiore a quello di
ogni altra cosa. Per la donna essere per natura portata a interessarsi della persona significa essere protesa ad accompagnare ciascuno che, creato a immagine di Dio, è chiamato a divenire Sua
somiglianza.
Così si esprime Edith:
“Se nella donna questo impeto è particolarmente intenso, ciò dipende dalla sua particolare vocazione: essere compagna e madre. Essere compagna, cioè essere di sostegno e di appoggio; ma per
poterlo essere è necessario essere noi stesse salde, il che è possibile solo se tutto interiormente è nel giusto ordine e in equilibrio. Essere madre, cioè proteggere, custodire e portare la
suo dispiegamento l’umanità autentica. E’ necessario, perciò, possedere noi stesse tale umanità e sapere chiaramente in cosa consista; altrimenti non vi si piò educare gli altri. Si può far fronte a
questo doppio compito solo se si possiede il giusto atteggiamento verso la persona. Come abbiamo già detto, la donna non lo possiede per natura. La formazione iniziale della specificità femminile è
per lo più una degenerazione e una sclerosi di tale atteggiamento”.
La questione della sclerosi delle caratteristiche femminili è motivata dalla semplice questione del peccato originale, che ha intaccato l’intera persona, dunque la sua
corporeità, la sua psichicità e la sua dimensione spirituale. Le caratteristiche femminili perciò non sono andate completamente perdute, ma sono sfigurate: necessitano della redenzione, che Gesù ha
già operato, ma a cui ciascuno deve liberamente fare spazio. Tale accoglienza è attiva, richiede cioè la collaborazione della persona, attraverso un lavoro di educazione e di formazione prima, che
diventa poi, per l’intera vita, auto-educazione e auto-formazione.
Edith descrive senza sconto alcuno la situazione della femminilità nella quale la redenzione non è diventata ancora attiva e trasformante. Leggiamo direttamente le sue parole:
“E’ una propensione a procurarsi considerazione per la propria persona, un mobilitare a tale scopo le energie proprie e le altrui; è una brama d’amore e d’ammirazione, un’incapacità a sopportare
le critiche perché vengono vissute come un attacco alla persona. Il proprio marito deve essere riconosciuto come il migliore, i propri bimbi devono essere i più belli, i più intelligenti e i più
dotati. E’ questo l’amore femminile cieco, che turba il giudizio oggettivo e che naturalmente rende del tutto inadatte alla vocazione femminile indicata. A questa smodata ricerca di considerazione
per la propria persona si accompagna uno smodato interesse per gli altri. Una volontà assurda di penetrare nella vita personale altrui, una smania di accaparrarsi gli altri per sé. Inoltre, nella
dedizione femminile, l’eccessiva sopravvalutazione della propria e dell’altrui personalità s’incontra con l’impeto ad abbandonarsi totalmente a un’altra persona, non rendendo giustizia alla propria e
all’altrui umanità e al tempo stesso rendendosi incapace di altri compiti. A questa falsa ricerca di considerazione si connette una corrotta esigenza di pienezza e di completezza, una brama
d’informarsi su tutto, e perciò un centellinare tutto senza nulla approfondire. Ma tale superficialità non potrà mai essere segno d’umanità autentica. E’ più prossimo a un’umanità autentica chi
domina a fondo una materia, che non chi non ha mai terreno sotto i piedi”.
Molto interessante poi la domanda che Edith si pone: come raggiungere l’obiettivo di una femminilità autentica? Anche in questa circostanza Edith non si smentisce e così risponde:
“ V’è innanzitutto un efficace mezzo naturale: un lavoro preciso e oggettivo. Ogni lavoro del genere, di qualsiasi specie sia - domestico, artigianale, scientifico o altro -, esige che ci si
sottometta alle leggi dell’oggetto con cui si ha a che fare; che si pospongano a esso la propria persona, i propri pensieri, gli umori e gli stati d’animo. E chi ha imparato questo, è diventato
‘oggettivo’, ha perso parte del suo atteggiamento ‘troppo personale’ e ha raggiunto, così, una certa libertà da se stesso e, almeno in un aspetto particolare, dalla superficie è sceso in profondità,
giungendo a qualcosa su cui poter poggiare. Già solo in ragione di questo enorme beneficio personale, prescindendo pure totalmente da ogni necessità economica, ogni giovane donna dovrebbe ricevere
una profonda formazione professionale per poi trovare un’occupazione che la soddisfi pienamente. Non vi è miglior terreno di coltura per la degenerazione della specificità femminile e delle sue
manifestazioni morbose (l’isteria), che la vita della giovane di buona famiglia di vecchio stile e della signora benestante nullafacente. E dato che questo lavoro oggettivo, consigliato quale rimedio
alle carenze della specificità femminile, di norma l’uomo è portato naturalmente, potremmo asserire che un supplemento di mascolinità è l’antidoto contro ciò che è ‘eccessivamente
femminile’”.
Facciamo qualche nota a margine di questo passo piuttosto intenso.
Innanzitutto non possiamo non notare come Edith parli per esperienza personale. Se ripensiamo alle pagine lette nella “Storia di una famiglia ebrea” non possiamo non ricordare la descrizione della
sorella maggiore di Edith, Else: questa era certamente una donna dagli aspetti femminili molto forti… e poco controllati…talmente poco controllati che il marito aveva dovuto assumere posizioni
piuttosto forti e direttive. E’ un tipico esempio in cui l’eccesso di mascolinità aveva per motivazione un eccesso di femminilità non adeguatamente formata: questo ci fa riflettere da un alto sulla
responsabilità che uomo e donna hanno nell’equilibrio di coppia, e dall’altro come spesso nelle relazioni disarmoniche non vi è una vittima femmina e un colpevole maschio, ma una mancanza di maturità
femminile che va a potenziare la tendenza dominatrice maschile, che diventa oppressiva o esageratamente direttiva.
Una seconda sottolineatura riguarda l’importanza della formazione a un lavoro preciso e oggettivo. Molto interessante fatto che non ha alcuna importanza l’ambito concreto: si libera così il terreno
da un possibile falso alibi per il quale solo alcune attività sono favorevoli e altre no… Tutte le attività sono adeguate, purché le si svolga con precisione e oggettività. Anche qui non possono non
venirci alla mente molti passi autobiografici, soprattutto le pagine in cui Edith narrava come aveva affrontato gli studi liceali prima e soprattutto quelli universitari dopo. Quelle righe così forti
in cui descriveva lo sforzo nello scrivere la tesi di laurea: l’immagine del “dolore di un parto” non è eccessiva… La superficialità è una delle degenerazioni più tipiche della femminilità.
Da ultimo il consiglio di formarsi a una professione che soddisfi. Anche qui non possiamo non ripensare a quando Edith doveva scegliere la facoltà universitaria e alle pressioni fuori luogo dello zio
David; con decisione aveva scritto che si è al mondo per servire l’umanità e il modo migliore è quello di far fruttare i talenti che si hanno. Il criterio perciò non è il profitto economico che si
può trarre da una professione, la fama, o che altro, bensì i talenti che effettivamente si posseggono, fatti fruttificare non per l’esaltazione di se stessi, ma per il servizio al prossimo.
Indubbiamente la sottolineatura dell’importanza di far studiare le donne perché entrino con competenza nel mondo lavorativo è datata, ma certo non lo sono i criteri di scelta.
Il frutto maturo di questa formazione è che la donna impara a essere veramente attenta alla persona in quanto tale, altrimenti il rischio è di usare della (falsa) attenzione all’altro per esaltare se
stessa.
Edith non esita poi ad aggiungere che per compiere tale cammino di maturazione è necessario l’aiuto dei mezzi soprannaturali. Dopo aver additato come modello concreto di umanità perfetta Gesù, così
si esprime:
“Se non sappiamo da dove cominciare per cercare aiuto, egli stesso ci ha preparato il rimedio. Con i suoi sacramenti ci purifica e ci rinsalda. E se lo frequentiamo con fiducia, come egli vuole,
il suo Spirito ci compenetra sempre più e ci trasforma; uniti a Lui impariamo a fare a meno degli appigli umani e acquistiamo quella libertà e quella fermezza che sono necessarie per essere di
appoggio e di sostegno agli altri”.
E ancora:
“Cerchiamo, allora, l’immagine di Dio in ogni essere umano, e ovunque vogliamo aiutarla a essere libera. Possiamo perciò anche dire: il valore peculiare della donna consiste essenzialmente in una
particolare ricettività per l’azione di Dio nell’anima, e giunge al suo pieno sviluppo quando ci abbandoniamo a questa azione fiduciose e senza opporre resistenza”.
Questi i contenuti della prima parte della conferenza di Edith. La seconda ha contenuti che vengono poi ripresi e approfonditi in un’altra sua conferenza. La affronteremo
con l’altra in modo da non essere ripetitivi sul tema.