EDITH STEIN
EDITH STEIN

Fondamenti della formazione della donna

 

La conferenza che porta il titolo “Fondamenti della formazione della donna” viene tenuta da Edith l’8 novembre 1930 a Bendorf sul Reno, su richiesta del Comitato Centrale per la Formazione dell’Unione Donne Tedesche Cattoliche. E’ una conferenza molto feconda, che suscita il giorno successivo un vivace dibattito tra le partecipanti, che non si limita alla circostanza dell’incontro, ma prosegue anche nei mesi successivi. Una delle partecipanti è molto colpita dall’intervento di Edith e le domanda un saggio per la lettera mensile “Societas religiosa”, comunità religiosa di donne attive nel mondo del lavoro. Solo nel gennaio del 1932 Edith riesce a soddisfare tale richiesta e scrive un articolo intitolato “Vie al silenzio interiore”.

Edith contestualizza subito il suo intervento all’interno dello stato di generale crisi in cui versa il sistema formativo tedesco del tempo e di cui la formazione della donna è capitolo specifico, con problemi e difficoltà particolari.

Il vecchio sistema formativo ha vacillato perché si è messo in discussione il concetto stesso di formazione, di matrice illuministica. Scrive Edith:

 

L’ideale educativo che si aveva dinanzi era quello di un sapere enciclopedico, il più perfetto possibile, che aveva come presupposto la concezione dell’anima quale tabula rasa, «qui c’è il foglio bianco», su cui registrare, mediante comprensione intellettuale e apprendimento mnemonico, quante più cose possibili. Il sistema cresciuto su questo terreno ha prodotto, per le sue evidenti deficienze, una critica sempre più violenta e alla fine un attacco generale; oggi si presenta come un palazzo in demolizione: qua e là un muro maestro, l’arco di una finestra tra mucchi di macerie, e in mezzo a tutto questo, qua e là, viene costruita una nuova stanza. E’ possibile spazzar via tutto e costruire un nuovo edificio su un terreno solido, secondo un piano unitario? Il desiderio e l’impegno ci sono; da anni siamo di fronte a una dura lotta intorno a un nuovo concetto di formazione, che in fondo è un concetto di formazione molto antico”.

 

Per prima cosa Edith dà una definizione della parola “Bildung”, tradotta in italiano con il termine formazione. 

 

Formazione (Bildung) non indica il possesso esteriore [inteso come superficiale, ndr]di cognizioni, ma la forma che la personalità umana viene ad assumere in virtù dell’influenza delle molteplici forze che la plasmano, o anche il processo attraverso cui essa prende forma. Il materiale che si deve plasmare è costituito, da un lato, dalle predisposizioni psico-fisiche che l’essere umano porta con sé dalla nascita, poi dal materiale per la costruzione che deve essere assunto continuamente dal di fuori e incorporato nell’organismo. Il corpo lo assimila dal mondo materiale, l’anima dal suo ambiente spirituale: dal mondo delle persone e dei beni che sono destinati a nutrirla. 

La prima e fondamentale formazione avviene dall’interno: come nel seme delle piante è nascosta una «forma intima», una forza invisibile che fa sì che qui nasca un abete e là un faggio, così nell’uomo si nasconde la forma intima che preme per svilupparsi in una certa direzione e che lavora dall’interno, con cieca tenacia, al costruirsi di una determinata «forma» [Gestalt], la personalità matura pienamente dispiegata, e una personalità con una peculiarità individuale compiutamente determinata. 

A questa prima forza formante se ne aggiungono altre che agiscono in parte dall’esterno, in parte dall’interno. Il bambino, con le sue predisposizioni psico-fisiche e la sua intima tendenza al suo fine, viene affidato nelle mani di formatori umani. Dal fatto che questi apportino al suo corpo e alla sua anima le materie formative di cui necessita per il suo sviluppo, che gli offrano un cibo digeribile o indigesto, nutrimento sano o veleno, da tutto questo dipende se egli potrà diventare ciò 

cui è destinato. Una parte essenziale di tutto il processo di sviluppo e di formazione è la maturazione degli «organi» di cui il corpo e l’anima hanno bisogno per assimilare ed elaborare il loro nutrimento. E’ la caratteristica propria degli «organi» dell’anima (se qui ci limitiamo solo a questi) arrivare a maturazione svolgendo l’attività loro propria, e in particolare occupandosi di un materiale che sia loro consono: i sensi cogliendo, distinguendo, confrontando colori e forme, suoni e rumori, ecc.; l’intelletto pensando e conoscendo; la volontà per mezzo di atti della volontà (scelta, decisione, rinuncia, ecc); l’affettività [l’animo, Gemüt] per mezzo di moti dell’animo, ecc. Il fatto che dall’esterno vengano proposti opportuni compiti contribuisce, perciò, alla maturazione di tali potenze.

Nel materiale, quanto alle predisposizioni naturali, si cela qualcosa che, se germogliasse e crescesse liberamente, contrasterebbe con il processo evolutivo, così come è prescritto dalla sua intima tendenza al fine. Se la mano formatrice che agisce dall’esterno strappa queste erbacce cresciute rapidamente o toglie loro il nutrimento, collabora alla formazione dell’intero.

Agli interventi dall’esterno che sono voluti e programmati si aggiungono, poi, le influenze dell’ambiente che agiscono senza che vi sia la volontà precisa di qualcuno. Soltanto ciò che dal mondo esterno riesce a penetrare nell’intimo dell’anima, ciò che non è solo percepito con i sensi o con l’intelletto, ma che afferra «il cuore e l’animo», che fa veramente tutt’uno con l’anima, solo questo è l’autentico materiale formativo. Ma se è materiale formativo, se viene realmente trasformato nell’anima, allora cessa di essere mero materiale, agisce esso stesso formando, educando, aiuta l’anima a raggiungere la forma a cui è destinata.

Nella loro azione formatrice, le forze dell’ambiente spirituale e l’opera di formatori umani non sono condizionate e limitate solo dalla formazione primaria che si attua dall’interno: sulla loro strada incontrano un’altra forza che plasma dall’interno. Il bambino viene posto nelle mani di formatori umani. L’essere umano che diventa maturo, che si desta all’uso della libertà spirituale, prende se stesso nelle proprie mani. In virtù della sua libera volontà, egli stesso può lavorare alla propria formazione, può esercitare liberamente le proprie potenze, prendendosi cura del loro perfezionamento, può aprirsi alle influenze formative o chiudervisi. Come le forze modellanti esteriori, così anche lui è vincolato al materiale che gli è dato e dalla forza modellante primaria in esso attiva: nessuno può far di sé qualcosa che sia al di fuori della propria natura. Vi è un’unica forza formante che, a differenza di tutte quelle di cui abbiamo parlato sinora, non è vincolata ai limiti della natura, ma può trasformare dall’interno la stessa forma intima: è la forza della Grazia.

Vediamo, dunque, che la formazione è qualcosa di molto più complesso, molto più misterioso, molto meno soggetto all’arbitrio, di quanto potesse sognare l’Illuminismo. E proprio perché non aveva tenuto in conto i più essenziali fattori della formazione, il suo sistema formativo doveva naufragare”.

 

E’ un brano assai lungo quello riportato, semplice ma al contempo pieno di concetti importanti. 

Per prima cosa ci dà una definizione del termine “Bildung”: esso non significa una acquisizione di nozioni e/o di competenze, ma la formazione della persona tutta intera, nelle sue varie componenti.

In secondo luogo indica cosa concorre a formare la persona, cioè ciò che biologicamente e psicologicamente ha di suo fin dalla nascita, e ciò che invece assimila dall’esterno; tale assimilazione riguarda sia ciò che è necessario per la sua crescita fisica, sia per ciò che riguarda la sua evoluzione psichica e spirituale.

In terzo luogo Edith fa notare che il dinamismo di crescita è insito nella persona e che esso obbedisce a una forza interna che fa diventare ciò che in potenza già si è; prendendo a paragone il 

regno vegetale, come nel seme di una pianta c’è già il suo futuro divenire abete o faggio, così nel bambino c’è già la forma della sua personalità pienamente matura.

In quarto luogo viene affermato che, accanto a questa forza intima, agiscono forze esterne legate ai formatori umani che il bambino incontra nel suo percorso di crescita: questi hanno il potere di far crescere in maniera sana, ma anche di far ammalare, fornendo alimenti non idonei. Il processo di crescita consiste nel far maturare non soltanto la dimensione biologica della persona, ma anche quella psicologica, composta dall’intelletto, dalla volontà e dalla affettività. In realtà non soltanto dall’esterno, ma anche dall’interno della persona possono provenire elementi capaci di intralciare la buona crescita della persona; il ruolo del formatore è qui molto importante, perché è esattamente colui che vigila e che prontamente corregge.

In quinto luogo Edith prende in considerazione l’ambiente in cui ogni persona vive, la cui influenza è proporzionale al grado di penetrazione nell’anima della persona: non è cioè sufficiente percepire con i sensi e/o con l’intelletto  una sollecitazione: perché divenga formativa è necessario che essa afferri l’anima della persona, che sia fatta propria. Questo vale sia per gli input positivi, che aiutano la persona a diventare ciò che è chiamata a essere, sia per gli input che la allontanano dal retto cammino di crescita.

In sesto luogo viene suggerito quell’elemento che permette di riconoscere se la persona ha raggiunto un adeguato livello di maturità: la libera volontà, cioè la capacità di scegliere in maniera autonoma a quali influenze aprirsi e a quali influenze chiudersi per perfezionare sempre più il suo cammino di auto-formazione: non sono più cioè gli altri a vigilare sulla crescita della persona, ma è la persona stessa che è ormai in grado di scegliere chi essere, in maniera sempre più adulta.

Da ultimo, Edith afferma che, sebbene la forza propulsiva per la crescita sia insita nella persona e sebbene si tratti di diventare nell’atto ciò che in potenza già si è, nel processo di crescita entra in gioco un’altra forza, capace di trasformare dal di dentro l’essere: è la Grazia, che naturalmente opera in sinergia con le forze naturali quando esse sono correttamente messe in gioco nel processo di crescita.

Edith prosegue poi la propria riflessione affermando che qualunque azione formativa esterna non può assolutamente prescindere dal dato di natura. Essendo la sua conferenza tenuta in un contesto di riflessione sull’educazione della donna, le domande che si pongono sono innanzitutto due: 

  1. quale è la natura della donna e il fine formativo inscritto in lei?
  2. come può il lavoro esteriore porsi come aiuto allo sviluppo interiore della donna?

Ancora una volta Edith parte dalla vocazione originaria di ogni donna, cioè quella di essere sposa e madre: questo dice il suo corpo e la sua anima. La sponsalità e la maternità però non vanno intese in senso esclusivamente biologico: sono piuttosto delle modalità di essere che la donna vive in ogni dinamica relazionale. Edith indugia poi a descrivere alcune caratteristiche che l’anima femminile è chiamata a coltivare per poter vivere in pienezza la sua vocazione femminile.

La prima è che deve essere “ampia”. Dice: “Ampia deve essere l’anima della donna e nulla di quanto è umano le deve essere estraneo”. Per natura appunto è portata a interessarsi degli altri esseri umani e delle relazioni. Come però abbiamo già avuto modo di vedere, la sola predisposizione naturale non basta, perché il peccato originale ha sfigurato queste sue caratteristiche, degradandole a curiosità, pettegolezzo ecc. E’ importante perciò che ogni donna intraprenda il cammino di autoeducazione che la rende capace di porre veramente il suo dono di natura a servizio degli altri. Scrive Edith:

 

Guadagnerà qualcosa solo se uscirà da sé per cercare e riportare a casa: il tesoro che si cela in ogni anima umana e che può arricchire non solo l’anima stessa, ma anche gli altri che a lei aprono la propria anima: e il peso, palese o nascosto, che grava su ogni anima. Può cercare così solo chi sta dinanzi alle anime umane con santo timore e sa che le anime umane sono il Regno di Dio; che si può avvicinarsi a esse solo se a esse si è invitati. Ma chi è stato invitato, troverà quanto cerca; e chi sarà cercato in questo modo, si lascerà trovare e salvare. Allora l’anima non resta fuori, ma riporta a casa il suo dono e i suoi spazi devono dilatarsi, per poter contenere ciò che essa porta con sé”.

 

E’ un passo molto bello, in cui si vedono coniugate in modo armonico la sensibilità, la delicatezza  e la modalità di servire tipiche dell’anima femminile, quando i doni di natura si lasciano portare a perfezione dalla Grazia.

 

Un’altra caratteristica che l’anima della donna è chiamata a sviluppare è quella di essere silenziosa. Il motivo è molto semplice: i movimenti interiori profondi non fanno chiasso, richiedono un ascolto attento, e se l’anima della donna è rumorosa non sarà in grado di percepirli. E’ una sfida molto grande questa, perché è molto frequente fare esperienza di donne schiave dei loro pettegolezzi, del loro continuo chiacchierare, della loro curiosità smodata. Per diventare vuote di sé e interiormente raccolte, è veramente indispensabile il soccorso soprannaturale; a suo buon pro gioca però il desiderio autentico di donarsi completamente alle altre persone. Scrive Edith:

 

«O Signore Dio, sottraimi a me stesso e rendimi totalmente tuo» così recita un’antica preghiera tedesca. Da soli non ci riusciamo, è Dio che deve farlo. Ma rivolgersi a lui in questo modo sarà per natura più facile alla donna che all’uomo, perché in lei vive il desiderio naturale di donarsi tutta. Una volta che sia arrivata a comprendere veramente che nessun altro fuorché Dio è in grado di prenderla tutta per sé, e che è peccaminosa rapina contro Dio il donarsi totalmente a un altro anziché a Lui, allora la resa non le parrà più dura e così sarà libera da se stessa. Allora sarà ovvio per lei chiudersi nel proprio castello interiore, mentre prima era alla mercé delle tempeste che dall’esterno facevano irruzione senza posa, e usciva anche da sé per cercare fuori quanto potesse placare la sua fame. Ora ha tutto quello di cui ha bisogno; esce da sé solo quando è invitata e apre solo a chi è consentito andare a lei. In questo castello è padrona in quanto ancella del suo Signore; e per tale motivo sta al servizio di tutti quelli per i quali il suo Signore desidera i suoi servigi, ma in primo luogo di colui che le è dato come capo visibile: il marito, od ogni altra «autorità» le sia preposta”.

 

Anche questo brano è molto profondo. Emerge con chiarezza la sintesi tra la dimensione umana e quella spirituale a cui ogni persona è chiamata. Non si è chiamati a non amare, ma ad amare in Dio: in questo modo anche i sentimenti più cari e delicati, quali possono essere quelli per il marito, o i figli, risultano purificati e portati al massimo grado di intensità, perché Dio è Amore. Egli potenzia il nostro cuore e lo dilata a misura del Suo. Dunque amare in Lui significa amare con una passione, con una profondità, con una intensità e con una fedeltà infinitamente maggiori che se avessimo a disposizione soltanto le risorse umane del nostro cuore. Mettere il nostro cuore nel cuore di Dio poi significa ancorarlo alla Sorgente dell’Amore: Dio solo sazia il bisogno di amore che ciascuno di noi ha. Questo libera i nostri affetti umani dalla tirannia della ricerca della gratificazione e ci rende capaci di amare in modo oblativo. Non chiediamo all’altro, nemmeno al marito, di riempire il nostro cuore e di saziare il nostro bisogno di amore; al contrario, poiché riempito da Dio di vero amore, andiamo all’altro per amare, per dare amore.  Naturalmente questo non riguarda solo il cuore femminile, ma anche quello maschile. Se anche quest’ultimo lascia che sia Dio a riempire d’Amore il suo cuore, allora la relazione con la donna si fa non solo più libera, ma l’amore reciproco che lega i due ben più maturo: si cammina perciò mano nella mano, facendo continuamente l’esperienza della “tempiternità”, cioè dell’irrompere dell’eternità nel presente dello spazio e del tempo.

Quanto detto ci introduce nella terza caratteristica dell’anima femminile che Edith evidenzia: essa deve essere calda.

Scrive Edith:

 

Quando il fuoco celeste, l’amore divino, ha bruciato ogni impurità, arde nell’anima come una fiamma silenziosa che non solo riscalda, ma anche illumina: tutto allora sarà luminoso, puro e chiaro. Sì, neanche questo chiarore è dapprincipio visibile semplicemente come dono di natura. 

L’anima della donna appare piuttosto cupa e oscura, impenetrabile a sé  e agli altri. Solo la luce divina la rende trasparente e luminosa.

 

Come appunto dicevamo poc’anzi, Dio, che è Amore, non può che purificare e potenziare la capacità d’amare di ogni donna.

 

Ci sono anche altre caratteristiche dell’anima femminile a cui Edith semplicemente accenna. Scrive infatti:

 

Deve esser luminosa, perché negli angoli bui e nelle pieghe oscure, non allignino parassiti cattivi; deve essere riservata, perché le irruzioni dall’esterno non mettano in pericolo la vita nell’intimità; deve essere vuota di sé, per lasciare in sé ampio spazio alla vita altrui; infine deve essere padrona di sé e del proprio corpo, così che tutta la sua personalità sia sollecitamente disponibile a ogni appello”.

 

Come si può ben notare, la vocazione a cui la donna è chiamata è davvero alta. E’ però impossibile vivere coerentemente con questa vocazione se i doni di natura non si consegnano all’azione purificatrice della grazia. Tale processo però non è affatto passivo: al contrario, chiede tutta la sollecita collaborazione della persona. Per questo motivo Edith non esita ad affermare che la formazione più urgente per ogni donna è in realtà quella religiosa, perché  essa anima e sostiene tutto il suo essere, orientando al bello e al bene ogni altro tipo di formazione, tra cui anche l’acquisizione delle competenze lavorative. Scrive Edith:

 

Tutto questo ci dimostra che ciò che la donna deve essere secondo la sua vocazione originaria, lo può diventare solo se alla formazione naturale, che agisce dall’interno, si aggiunge anche la formazione dovuta alla grazia. Perciò il nucleo di ogni formazione della donna dovrà essere la formazione religiosa”.

 

Il terzo paragrafo porta il titolo: “Il lavoro esterno di formazione”.

Edith apre il paragrafo con una affermazione molto importante. Agganciandosi a quanto sostenuto al termine del paragrafo precedente - cioè che è formativo solo ciò che trova una rispondenza interiore -, afferma che il lavoro di formazione , che è una forza esterna alla persona, deve potersi agganciare alle forze che modellano dall’interno, altrimenti è impossibile raggiungere l’obiettivo. Perché ciò accada, è dunque importante presentare in maniera adeguata il materiale formativo, in modo che gli organi corporei e spirituali lo possano riconoscere e assimilare.

Questo tuttavia non è sufficiente. E’ infatti necessario che il materiale formativo venga accolto e rielaborato da delle facoltà che siano addestrate a farlo; le facoltà però si esercitano soltanto se vengono a contatto con del materiale concreto. E’ esattamente a questo punto che si colloca la scuola, come luogo in cui per la persona questo processo formativo può compiersi nella maniera più completa e armonica possibile.

La formazione della persona - e nel caso specifico della donna - è globale. Essa deve riguardare innanzitutto la dimensione della corporeità. Ognuno è infatti chiamato non solo a conoscersi, ma anche a gestirsi in maniera adulta, equilibrata e libera, ove per libera si intende in maniera coerente ai valori scelti e non in maniera compulsiva, secondo i dettami dell’istinto, piuttosto che non del disordine o addirittura del vizio. Edith esplicitamente delega agli esperti di anatomia e fisiologia il lavoro di formazione naturale del corpo; il solo fatto però di averne fatta esplicita menzione è molto importante, perché  testimonia quanto ella abbia uno sguardo alla persona tutta intera. Come abbiamo detto ormai più volte, corpo -anima-spirito sono parti distinte della persona, ma assolutamente inseparabili. Per questo non si ha vera “Bildung”, se tale formazione non si declina in tutti e tre i livelli dell’essere umano, nel caso specifico della donna.

Non essendo Edith medico, delega ad altri appunto l’approfondimento della tematica, mentre si riserva di trattare la formazione dell’anima.

Al riguardo fa una affermazione molto importante:

 

Di quale materiale necessita l’anima per strutturarsi? Per poter crescere deve assumere qualcosa in sé. E abbiamo visto che solo ciò che essa assorbe intimamente passa nel suo proprio essere in modo tale che è possibile parlare di crescita e formazione; ciò che viene percepito solo dai sensi o conosciuto dall’intelletto, resta un possesso esteriore. Gli oggetti che hanno in sé qualcosa che li rende atti a venir accolti  nell’intimo dell’anima, li chiamiamo beni; chiamiamo valore quel qualcosa stesso”.

 

L’anima della donna è, secondo Edith, particolarmente sensibile a ciò che è bello, moralmente nobile, ai valori terreni alti: per questo uno spazio adeguato va riservato, nella scuola, alla letteratura, all’arte e alla storia, perché sono materie che ben si prestano a fornire elementi formanti l’animo umano. Viene fatta però subito una precisazione:

 

Ma chiaramente, non è importante solo il fatto che il materiale formativo dell’anima sia accolto; esso deve conformarsi all’anima in un modo adeguato e contribuire così alla sua formazione. Esiste una legge che regola questa conformazione: una legge della ragione. Alla struttura del mondo esteriore e ai diversi gradi di valori e di beni in essa presenti corrisponde il posto che conformemente a ragione deve venir loro assegnato nell’anima. Se infatti l’anima deve essere formata adeguatamente e non deformata, essa deve poter confrontare, distinguere, pesare e misurare. Non deve essere traboccante di entusiasmo indefinito, non deve essere messa in uno stato di agitazione fanatica: deve raggiungere una sensibilità raffinata e un giudizio critico acuto”. 

 

Queste parole di Edith risultano ancora più comprensibili se si ripensa a quanto già evidenziato in precedenti conversazioni, là dove si diceva come le caratteristiche dell’anima femminile si trovano poi a dover fare i conti, in ogni singola donna concreta, con la decadenza dovuta al peccato originale: l’attenzione alla persona sfigurata in curiosità e desiderio di primeggiare, l’essere compagna in essere succube e dipendente, la relazione in pettegolezzo e invadenza, ecc. La formazione perciò risulta una urgente necessità per la crescita di ogni donna, perché le doti naturali possano essere poste a vero servizio del prossimo. 

Perché ciò sia possibile, dice Edith, è necessario prima di tutto una formazione dell’intelletto femminile. Dice Edith:

 

L’intelletto resta sempre la chiave d’accesso per il regno dello spirito, l’occhio dello spirito attraverso il quale entra luce nelle tenebre dell’anima”.

 

Il terreno di formazione dell’intelletto è l’esercizio concreto, dunque lo studio: non si tratta di inserire nei piani di studio “tutto” - cioè la maggior quantità possibile di informazioni -, ma di fornire la quantità necessaria e sufficiente per plasmare l’intelletto dando forma e fornendo un metodo. A seconda poi di ciò che si sceglie di compiere nella vita, la persona indirizzerà l’acquisizione delle necessarie competenze, anche in autonomia, e sarà in grado di farlo perché previamente si è correttamente strutturata. Dice Edith:

 

Dobbiamo liberarci del tutto dalla concezione secondo cui la scuola dovrebbe offrire quasi un compendio di tutti i campi del sapere del nostro tempo. Dobbiamo piuttosto cercare di formare persone che siano sufficientemente intelligenti e capaci di muoversi in ogni campo che possa in un qualche momento diventare importante per loro”.

 

La formazione intellettuale non è solo quella legata allo studio astratto di alcune materie. C’è anche un “intelletto concreto” chiamato a formarsi perché sia in grado di risolvere i più svariati compiti che esso si trova a dover affrontare nella vita quotidiana. Anche questo va tenuto presente, dunque la persona va formata allenandola ad affrontare e risolvere compiti concreti. Per fare questo è necessario imparare a esercitare la volontà con atti di scelta, di decisione, di rinuncia, di sacrificio, ecc. 

La dimensione intellettuale - teorica e pratica - va cioè integrata con quella di tutte le altre componenti dell’anima della donna, tra cui, appunto la volontà, il mondo delle emozioni, ecc, affinché la crescita sia armonica e integrata in tutte le sue componenti.

Edith naturalmente non manca di considerare anche la formazione religiosa della persona. Dice:

 

Sarebbe da considerare il compito proprio della scuola che le ragazze imparino a conoscere e comprendere il mondo e gli esseri umani, e a trattare con loro. Ci è ormai perfettamente chiaro, poi, che conoscere e trattare nel modo giusto le creature è possibile solo a partire da un giusto rapporto col Creatore. Siamo perciò ricondotti ad affermare che l’aspetto più importante della formazione è la formazione religiosa. Schiudere al bambino la via verso Dio: ecco il compito più urgente. Essere formato sotto il profilo religioso, possiamo anche dire, significa possedere una 

fede viva […] La fede viva è cosa dell’intelletto e del cuore, è atto di volontà e azione. Chi sa risvegliarla, educa tutte le potenze”.

 

E’ questo un passaggio molto bello e interessante. Dopo aver ribadito, ancora una volta, come il campo antropologico sia particolarmente idoneo alla donna, viene offerta la prospettiva religiosa perché la persona venga a trovarsi nella corretta dimensione spazio-temporale: inserita cioè in un contesto di adeguate relazioni non solo con i propri simili, ma anche con Dio, che è parte costituente la realtà. La conoscenza di Dio poi non è astratta, non si nutre solo di affermazioni teoriche e teoretiche, ma chiede che esse diventino vita vissuta. La pratica della fede cioè è essenziale per la stessa conoscenza di Dio. Non si può non riconoscere, in trasparenza, quanto detto da Gesù: “A chi mi ama mi manifesterò”. La vita di fede cioè si incarna in una vita religiosa, cioè in forme cioè che la esprimono; queste poi divengono a loro volta strumenti per una continua educazione e trasformazione della persona, che cresce sempre più, nella sua interiorità e nella sua capacità di amare in maniera oblativa.

Così termina il terzo paragrafo.

 

Il quarto e ultimo paragrafo di questa conferenza porta il titolo: “Esigenze di oggi. Vie per una realizzazione pratica”. 

Edith, ricollegandosi a quanto detto nel paragrafo precedente, esplicitamente pone l’obiettivo che si propone di raggiungere. Scrive:

 

Arrivo così all’esigenza di un’istituzione formativa in cui si viva con Dio e con gli altri e si lavori per Dio e per gli altri”.

 

Ancora una volta il suo sguardo concreto la porta a cogliere la domanda fondamentale del suo tempo, che è quella che chiede alle donne da un lato di essere presenti nel mondo lavorativo, ma dall’altra di continuare a svolgere il loro compito di spose e di madri, contribuendo in entrambe le situazioni al risanamento morale del popolo (abbiamo già visto in una precedente conversazione, alla quale rimando, cosa Edith intenda con questa espressione e quali comportamenti, presenti nel suo tempo, ella abbia indicato come poco morali).

La Germania del suo tempo vive diverse sperimentazioni di riforma scolastica; Edith cita la Baviera e la Prussia, annotando però che questi tentativi, pur lodevoli, si trovano a dover fare i conti con un sovraccarico dei piani di studio e strutture esageratamente complicate per esami e abilitazioni. Per raggiungere l’obiettivo di una riforma funzionante poi è necessaria, secondo lei, una regolamentazione sistematica anche delle professioni. 

Nella sua concretezza, Edith fa tre proposte: 

  1. fornire una statistica generale e accurata che mostri la reale capacità di assorbimento delle varie professioni, in modo tale che si sappia quali effettive possibilità di esercizio ci sono 
  2. strutturare la formazione professionale fornendo tutte e solo quelle competenze che sono necessarie allo svolgimento del compito: “tutte” per rendere le persone veramente in grado di svolgere la professione scelta, “solo” per non disperdersi in acquisizioni di competenze che non servono al raggiungimento dello scopo e che possono fortemente distorcere la selezione delle persone effettivamente dotate per una professione o per un’altra (si rischia infatti di escludere chi risulta non adatto al percorso formativo invece che allo svolgimento della professione, ma perché il percorso formativo è esageratamente “totipotente”, troppo poco mirato)
  3. aprire gli istituti educativi a percorsi di lavoro più liberi e agili. Dice Edith: “Ciò che io immagino, è una sorta di sistema Montessori, attuato dalla prima infanzia fino alle soglie della scuola professionale”. Si noti quanto Edith sia aggiornata in campo pedagogico: la Montessori infatti opera in Italia a partire dalla fine del 1800, quindi una trentina di anni prima rispetto a questa conferenza di Edith: è poco, se si pensa che allora non c’era quell’immediatezza di scambi comunicativi che contraddistinguono il nostro tempo di interconnessione digitale.

Edith declina poi questa sua proposta; non approfondisco, perché mi pare una questione molto specifica: per chi è interessato, si rimanda alla lettura diretta e personale della conferenza di Edith. 

Nostro obiettivo infatti non è entrare nel dettaglio della questione, ma individuare quegli strumenti concreti che aiutano a formare in maniera sempre più fine la coscienza. 

Edith conclude poi la conferenza ricordando come, sebbene volutamente sia stato posto l’accento sulla formazione della donna, quanto detto in realtà non è esclusivo per il genere femminile; non di meno infatti necessitano di formazione anche gli uomini. Il respiro perciò si apre al di là del genere sessuale e a essere presa in considerazione è la persona, nel suo specifico genere femminile e maschile. Così dice Edith:

 

Si è messo sufficientemente il risalto che le donne, come gli uomini, sono esseri individuali la cui individualità deve essere tenuta presente nel lavoro formativo. Forse per evitare false concezioni, non sarà superfluo sottolineare che alle donne e agli uomini in quanto esseri umani è stato dato un comune fine quanto alla loro formazione: «Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». E questo fine della formazione ci sta davanti agli occhi in forma visibile nella persona di Gesù Cristo. Diventare sua immagine è il fine di tutti noi. E la strada per diventarlo, per tutti noi, è di lasciarci formare da Lui, incorporandoci in Lui, capo, come sue membra. Ma il materiale di partenza è diverso. Dio ha creato l’uomo come maschio e femmina e ha dato a ciascuno di loro un compito particolare nell’organismo dell’umanità. A causa del peccato, sia la natura maschile che la femminile sono corrotte. Nella fornace del forgiatore divino possono venir liberate da queste scorie. E chi si abbandona incondizionatamente a questa forgia, non solo vedrà restaurata in sé la natura nella sua purezza, ma crescerà al di sopra di essa, diventerà un alter Christus; in lui verranno meno i limiti e si concilieranno i valori positivi della natura maschile e di quella femminile. Ma ogni umano lavoro di formazione deve prender le mosse dai fondamenti naturali”.

 

E’ sempre molto bello contemplare questo sguardo limpido di Edith, che sa tenere insieme la natura e la Grazia, senza sbavatura alcuna dell’una o dell’altra: non delega alla Grazia ciò che è compito della natura (sarebbe infantilismo, irresponsabilità), ma nemmeno cade nella superbia di voler fare a meno della dimensione e dell’aiuto soprannaturale (questo è stato infatti il peccato originale, la scelta di voler essere autoreferenti e autosufficienti).

 

 

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