E' questa una conferenza molto interessante che Edith ha tenuto il 24 e il 25 luglio 1932 ad Augusta per il 14°congresso della Associazione del Sud della Germania delle giovani cattoliche.
Il giornale della diocesi ha dato molto spazio all’evento, riportandone una dettagliata descrizione, sia con articoli sia con immagini. Le partecipanti erano 7000, munite di insegne, gagliardetti e bandiere. Si erano ritrovate per l’incontro della famosa “Rosa bianca”. Anche gli edifici pubblici e la stazione ferroviaria erano addobbati con striscioni di benvenuto con le scritte: “Un evviva fedele! Rosa Bianca”. Per il raduno erano previste manifestazioni pubbliche, cortei e conferenze.
Proprio a tenere una di queste Edith era stata invitata; vi parteciparono le responsabili della “Rosa Bianca”. Il titolo della conferenza è: “Compito della donna come guida dei giovani alla Chiesa”.
Edith scrive poi un brevissimo resoconto, al termine della conferenza, per il giornale cattolico della domenica della diocesi di Augsburg (anno 6°, n° 31, domenica 31 luglio 1932).
Di questa conferenza si ha il manoscritto autografo, conservato nell’Archivio del Monastero di Colonia.
LA POSIZIONE della donna nella Chiesa
La prima parte del suo intervento riguarda la posizione della donna nella Chiesa.
Ella esordisce con una affermazione che colloca la riflessione nella giusta prospettiva generale; così scrive:
“Il fine del lavoro di formazione religiosa deve essere quello di inserire i giovani nel Corpo mistico di Cristo, al posto che è stato loro destinato dall’ordine eterno. Tutti coloro che divengono partecipi della Redenzione diventano per ciò stesso figli della Chiesa, e in questo non c’è distinzione tra uomini e donne”.
D’altro canto è pur vero che si è figli della Chiesa nella propria identità di uomini e donne, perciò alla donna spetta una sua propria posizione proprio in quanto tale.
Edith chiarisce prima quale è l’essenza della Chiesa, perché è a partire da questo che ci si può poi collocare in maniera corretta all’interno di essa, fedeli alla propria identità.
Edith definisce la Chiesa come la comunità dei credenti caratterizzata da:
Quest’ultimo fattore è assai importante. Dice Edith:
“Il legame dell’anima con Cristo è qualcosa di diverso dalla comunità costituita di persone terrene: è un radicarsi in Lui e un crescere in Lui (questo ci dice la parabola della vite e dei tralci) che inizia con il Battesimo, che si rinsalda sempre più con gli altri sacramenti e che prende forma in varie direzioni- Questo reale diventar-uno con Cristo ha però come conseguenza diventar membra dei cristiani gli uni rispetto agli altri. In tal modo, la Chiesa si configura come Corpo mistico di Cristo”.
Questa sottolineatura è solo apparentemente scontata. Edith ricorda infatti che la dimensione orizzontale della Chiesa - dunque le relazioni fraterne - è il frutto della dimensione verticale - cioè della relazione di ciascuno con la Trinità; invertire i termini significa andare incontro a certa delusione, perché la comunità ecclesiale è sempre imperfetta, inadeguata, le relazioni faticose… è solo in nome della personale appartenenza a Dio che si resta nella Chiesa, altrimenti la si abbandonerebbe dopo le prime difficoltà relazionali…
L’immagine paolina che poi Edith riprende di Cristo-Capo e Chiesa-Corpo viene proposta con una specificazione assai importante: tra Capo e Corpo c’è indubbiamente unità organica, ma la Chiesa sta accanto a Cristo come una “persona indipendente”, cioè ha una sua specifica identità. Non si può non avvertire qui tutta la sua formazione fenomenologica e in particolare il suo lavoro di ricerca sull’empatia (si diceva che empatia non è simpatia, o simbiosi o fusione, ma lo stare di un Io davanti a un altro Io). La portata di questa affermazione è notevole, se si pensa che il Capo è Gesù, vero uomo e vero Dio… La Chiesa è chiamata a stare davanti a Dio come un Io, gli occhi negli occhi…con una sua identità, dignità, responsabilità…
La Chiesa è l’umanità redenta da Cristo; Maria è la “cellula originaria” di questa umanità redenta e, dice Edith, “quale nuova creatura, sta accanto a Lui, sebbene a Lui indissolubilmente legata”.
La redenzione di Gesù è indubbiamente per ogni uomo, di ogni tempo e di ogni luogo; la sua pasqua è salvezza, indipendentemente da che l’uomo lo riconosca esplicitamente scegliendo di appartenere alla Chiesa, sia che, obbedendo alla propria coscienza, resta fedele ad altre espressioni religiose… o sia semplicemente un uomo di buona volontà. Questo è quanto la Chiesa Cattolica con chiarezza afferma nei suoi documenti postconciliari circa ad esempio la missione ad gentes. D’altro canto permane la verità che la Chiesa è sacramento universale di salvezza per tutti i popoli ed è la via ordinaria di salvezza. Lo è perché custodisce in sé quei segni sensibili ed efficaci della Grazia che sono i sacramenti, in primis il Battesimo.
Al riguardo scrive Edith:
“Ogni anima, purificata dal Battesimo ed elevata allo stato di grazia, viene in tal modo generata da Cristo e data alla luce per Cristo. Viene però generata nella Chiesa e data alla luce mediante la Chiesa. […] Perciò, la Chiesa è la madre di tutti i redenti. Ma lo è per la sua intima unione con Cristo, stando come sponsa Christi al suo fianco, e collaborando con Lui alla sua opera, la redenzione dell’umanità. La donna è organo essenziale per questa maternità soprannaturale della Chiesa. Lo è anzitutto attraverso la sua maternità fisica. […] la vita di Grazia presuppone la vita naturale”.
Da vera fenomenologia, nelle sue riflessioni Edith parte sempre dalla concretezza così come essa ci viene incontro. Riguardo alla vocazione della donna nella Chiesa perciò non si può che partire da ciò che la donna ha di suo proprio, cioè la possibilità di generare la vita. Dunque perché la Chiesa sia madre è necessario che la donna sia madre; certamente questa non è l’unica possibilità, ma indubbiamente è tipicamente femminile.
Come poi afferma Edith, non è sufficiente generare figli nell’ordine della natura, cioè con il semplice parto biologico. Come già altrove ha avuto modo di dire, appartiene alla vocazione specifica della donna anche l’educazione dei figli da lei generati; tale educazione è indubbiamente umana - intellettiva ed affettiva -, ma è anche in relazione alla vita soprannaturale.
Dice Edith:
“Tuttavia, la partecipazione della donna a questa maternità soprannaturale della Chiesa va oltre. Ella è chiamata a collaborare, a risvegliare e a favorire la crescita, nei bambini, della vita di Grazia. […] E questo non vale solo limitatamente ai suoi propri figli”.
Quest’ultima affermazione è importante perché completa il pensiero prima esposto: se la generazione biologica è indubbiamente vocazione specifica della donna, la maternità ha una accezione ben più ampia di quella prettamente fisica; anche in questa conversazione Edith ne parla, ma già altrove abbiamo avuto modo di trattare la maternità legata alla consacrazione religiosa, come anche il ruolo educativo-materno che le insegnanti sono chiamate a svolgere nei confronti degli studenti loro affidati.
Seguono poi delle riflessioni che Edith fa su Maria di straordinaria bellezza; lontanissime da qualsivoglia sdolcinatura o devozionalismo stucchevole, ci presentano la Vergine-Madre nella sua altissima vocazione. Per non sciupare, leggiamo direttamente Edith:
“Maria è il simbolo più perfetto della Chiesa (perché suo prototipo e origine). Ne è anche un organo particolarissimo: l’organo da cui fu formato tutto il Corpo mistico, anzi il Capo stesso. Per indicare questa sua posizione di organo centrale ed essenziale, la chiamiamo volentieri cuore della Chiesa. […] Il capo e il cuore ricoprono infatti nel corpo umano un ruolo speciale, tutti gli altri organi e membra dipendono da essi nel loro essere e nel loro agire; e fra capo e cuore vi è una connessione particolarissima. Così anche Maria, per il suo particolarissimo legame con Cristo, ha di necessità un legame reale - e qui significa mistico - con le altre membra della Chiesa, legame che supera per grado, modo e importanza quello che unisce tra di loro le altre membra, proprio come il legame della madre con i figli è al di sopra di quello dei figli tra loro. Chiamare Maria nostra madre non è una semplice immagine. Maria è nostra madre in un senso realissimo ed eminente, in un senso cioè che trascende la maternità terrena. Ella ci ha generato alla vita della grazia quando ha donato tutto il suo essere, il suo corpo e la sua anima, alla maternità divina. Per questo c’è tra Lei e noi un intimo legame: Ella ci ama, ci conosce, s’impegna a far di ciascuno di noi ciò che dobbiamo essere, in modo particolare a portare ciascuno di noi alla più intima unione con il Signore”.
Dopo di che evidenzia il rapporto particolare che intercorre tra Maria e ogni donna:
“Ciò vale per tutti gli esseri umani; ma per la donna deve avere un’importanza particolare: nella sua maternità, sia naturale sia soprannaturale, e nella sua sponsalità divina, continua in una certa misura la maternità e la sponsalità divina della Virgo-Mater. […] Dobbiamo credere che vi sia una cooperazione di Maria ovunque una donna adempia la propria vocazione di donna”.
E da ultimo il richiamo alla nostra libera adesione: senza il nostro consenso infatti il Cielo non opera, la nostra libertà è somma e il Cielo mai forza il santuario della nostra coscienza:
“Tuttavia, come la Grazia non può compiere la propria azione nelle anime se esse non le si aprono con libera scelta, così anche Maria non può realizzare in pieno la sua maternità se gli uomini non le si affidano”.
E un ultimo riferimento alle donne:
“Le donne che, in uno dei diversi modi possibili, desiderano adempiere la propria vocazione di donne, raggiungeranno nel modo più sicuro il fine se, oltre ad avere vivido davanti agli occhi il modello della Virgo-Mater e a cercare di imitarla nel loro lavoro educativo, si affideranno anche alla sua guida, e si porranno totalmente sotto la sua guida. Ella può formare a propria immagine coloro che le appartengono”.
Guidare la gioventù alla Chiesa
La seconda parte della conferenza di Edith porta il titolo: “Guidare la gioventù alla Chiesa”.
In essa Edith affronta il ruolo educativo della donna rispetto ai figli e, più in generale, verso coloro che a vario titolo le sono affidati.
Se il Battesimo infatti è un dono che l’adulto può fare a chi si affaccia alla vita, il solo sacramento, lasciato a se stesso, resta inefficace, se non viene accompagnato da una custodia della Grazia e da una progressiva crescita ed educazione al bene. Dice Edith:
“E’ necessario vigilare, poiché possono entrare nell’anima veleni prima ancora che la vita spirituale
si sia svegliata: ciò che accade dinanzi agli occhi del bambino, ciò che entra nelle sue orecchie, ciò che egli esperisce mediante contatto fisico e persino ciò che agisce su di lui prima della
nascita può lasciare nell’anima impressioni le cui conseguenze sulla vita futura sono imprevedibili. Per questo la madre deve conservare pura l’atmosfera in cui il bimbo vive. […] La fiammella viene
alimentata, prima che il fanciullo raggiunga la ragione, dalla preghiera della madre e dal fatto che ella lo affida alla tutela della Madre di Dio. Non appena la ragione si risveglia, comincia la
possibilità di un’azione diretta. […] Non appena è in grado di comprenderne il significato, devono essergli rese accessibili anche le fonti della Grazia, i sacramenti. Essi sono il nutrimento più
sostanzioso della vita di Grazia e la difesa più efficace contro i pericoli che proprio in questo momento sono quasi inevitabili”.
E’ presente qui il grande tema della preghiera di intercessione: pregare gli uni per gli altri, affidarci gli uni gli altri alla protezione e alla custodia del Cielo non è una sorta di “placebo psicologico”, bensì un’azione spirituale efficace, come il grande maestro, il Cardinale Carlo Maria Martini, ci ha insegnato e testimoniato; questo vale anche nei confronti dei piccoli. Poi indubbiamente c’è tutto l’avvio alla vita sacramentale, perché i Sacramenti sono, come abbiamo già detto prima, segni efficaci della Grazia. Se siamo interiormente aperti alla loro azione, essi operano in noi e ci trasformano. Se solo ne fossimo consapevoli e veramente coltivassimo questa apertura spirituale, quale aiuto avremmo a nostra disposizione, ricevendo ad esempio anche quotidianamente il sacramento dell’Eucaristia! S. Teresa d’Avila ha scritto che basterebbe una sola Comunione nella vita per operare la nostra trasformazione, se ricevessimo con consapevolezza il Corpo di Cristo lasciandolo operare con libertà dentro di noi.
Questa educazione spetta innanzitutto alla madre, ma poi anche alla scuola (si pensi, allora come oggi, al ruolo della scuola privata…). Le insegnanti non sono naturalmente genitori suppletivi: il loro ruolo è coadiuvante rispetto a quello dei genitori, però è indubbio che possono svolgere azione vicaria quando quella genitoriale è latitante. Obiettivo, dice Edith, è “instaurare in loro una relazione salda e immediata con il mondo della fede, che poi permane quando il suo influsso cessa, resistendo inalterata anche di fronte agli influssi pericolosi provenienti da altri lati”. Veramente ruolo dell’educatore è portare chi gli è affidato all’autonomia, renderlo capace di scelte sempre più adulte e consapevoli, coerenti con la propria coscienza rettamente formata.
L’educazione alla fede, soprattutto nell’infanzia, non può prescindere da un aspetto affettivo e devozionale; non appena il bambino sviluppa capacità cognitive astratte è però necessario fornire l’alimento solido della sana dottrina, perché la sola affettività e le devozioni non sono terreno su cui si possa costruire l’edificio spirituale. E’ bellissimo ciò che Edith scrive:
“Per risultare duratura, la formazione religiosa deve essere ancorata a ciò che è oggettivo e deve contrapporre alle potenti realtà della natura le realtà ancor più potenti della soprannaturale. Per questo è necessario avviare il più presto possibile ai sacramenti e curare che ci si accosti a essi il più frequentemente possibile, soprattutto con la Santa Comunione quotidiana. Ma è altrettanto importante preparare l’anima ad accogliere in modo fruttuoso i sacramenti; ciò comporta che essi debbano venire compresi nel loro significato, che sia colta come tale la grande realtà soprannaturale che sta dietro di essi e che in essi risiede e che agisce nell’anima per mezzo loro. Questo porta all’esigenza di basare sin dall’inizio la formazione religiosa sul fondamento di un insegnamento dogmatico chiaro e preciso (esigenza che vale però in generale, e non solo a partire da qui: ancorarsi a quanto vi è di oggettivo e poggiare sulla realtà della soprannatura). Ciò che un lavoro di formazione religiosa deve avviare, è proprio una vita a partire dalla fede. La fede, però, non è questione di fantasia, né è un pio sentimento, ma comprensione intellettuale (anche se non penetrazione razionale) e adesione volontaria alla verità eterna; come fede piena, formata, è uno di quegli atti tra i più profondi della persona in cui sono all’opera tutte le sue potenze. Intuizione sensibile e fantasia stimolano l’attività dell’intelletto e sono punti di partenza indispensabili; i moti dell’animo sono impulsi che spingono la volontà a concedere il proprio assenso e, per tale motivo, costituiscono un aiuto prezioso. Ma se ci si accontenta di ciò, se non si fa appello alle più alte prestazioni di intelletto e volontà, non si può attuare una vita di fede pura e piena”.
Edith sa per esperienza diretta cosa significhi essere educatrice di giovani, soprattutto di adolescenti (si pensi agli anni di insegnamento a Spira). E’ disincantata, quindi va diretta alla questione centrale:
“Guidare alla condizione di figli di Dio è cosa che dovrebbe attuarsi nei primi anni dell’infanzia, anche se in seguito deve venir continuamente rinnovata e approfondita. In tal modo, gli anni dell’adolescenza resterebbero liberi di occuparsi di quell’altro compito che proprio in questi anni andrebbe affrontato: preparare la donna ad assumere il ruolo organico che le spetta nella Chiesa. Si dovrebbe utilizzare proprio la crisi che si verifica nel corpo e nell’anima della ragazza e che tanto la assorbe per farle comprendere la grandezza e la sacralità di quanto ella esperisce in sé”.
E’ difficile, ieri come oggi, parlare con naturalezza e oggettività della sessualità e della vita intima della persona, eppure è quanto mai necessario affrontare la questione, sia dal punto di vista medico, sia dal punto di vista psicologico, ma anche da quello spirituale, per poter comprendere quel grande dono che la sessualità è per la persona e la sua vita affettivo-relazionale. Solo così infatti ella può scegliere liberamente come viverla, con scelte non istintuali, ma autenticamente libere. E’ indubbiamente un impegno non semplice ed Edith ne è consapevole, proprio perché, come abbiamo detto, lo sperimenta in prima persona. Per questo possiamo dare credibilità alle sue parole:
“A chi lavora concretamente con i giovani e conosce tutta la situazione di disagio e di abbandono in cui si trovano i fanciulli che entrano nella scuola o nelle associazioni giovanili, potrebbe sembrare troppo grande, insormontabile, la distanza tra il materiale umano che ha tra le mani e l’alto ideale che ho tracciato. Ma se i fini sono chiaramente e inoppugnabilmente quelli posti da Dio - e credo che lo siano -, allora il lavoro di formazione deve tendere a essi: altrimenti sarebbe fatica insensata e vana. La vocazione del cristiano è la santità e il compito della sua vita è di elevarsi a essa dall’abisso del peccato”.
In questo compito però l’educatore non è solo. Dice Edith:
“Sarà raggiungibile quanto c’è di più alto, perché con ogni ponte gettato nell’aldilà è aperta una via per le forze che ci vengono in aiuto dall’alto, e che possono realizzare tutto ciò che è impossibile a ogni sforzo umano”.
Proprio perché la “Rosa bianca” ha una certa qual notorietà, vale la pena spendere qualche parola di presentazione circa questo movimento, per meglio comprendere il contesto in cui Edith vive e si muove, nonché quali gruppi politici e/o intellettuali appoggia. Le radici della “Rosa Bianca” sono remote, come dimostra la presenza di Edith a un raduno dei suoi aderenti nel 1932.
Essa tuttavia diventa nota soprattutto negli anni Quaranta.
E’ composta da studenti cristiani, accomunati dalla scelta di opporsi in maniera non-violenta al regime nazista. E’ operativa soprattutto a Monaco di Baviera ove, alla facoltà di medicina dell’Università Ludwig Maximilian, studiano i fratelli Hans e Sophie Scholl, Christopher Prost, Alexander Schmorrel e Willi Graft.
Obbligati a partecipare a delle esercitazioni militari sia sul fronte russo sia su quello francese, hanno modo di rendersi conto di persona delle atrocità commesse dal regime contro gli ebrei; sono pure testimoni oculari della disfatta di Stalingrad, che avrebbe condotto la Germania alla sicura sconfitta.
Queste esperienze vanno a confermare la loro formazione morale, avvenuta alla scuola del teologo Romano Guardini, come anche del parroco di Ulm (cittadina ove avevano frequentato il liceo), Franz Weiss, che fortemente si opponeva al regime, e degli intellettuali cattolici anti-nazisti Carl Muth e Theodor Heacker.
Otre a maturare una ferma opposizione alla violenza hitleriana, appoggiano il progetto di una Europa federale, basata sui valori cristiani di tolleranza e di giustizia; più volte si appellano agli intellettuali tedeschi, perché si oppongano al nazismo e si adoperino per il risveglio delle coscienze del popolo tedesco.
Dal canto loro, stampano, a partire dal giugno 1942, sei opuscoli contenenti vari articoli, invitanti tutti alla resistenza passiva; vengono distribuiti nel sud della Germania e in Austria. Il 7° non verrà pubblicato perché sequestrato dalla Gestapo.
Nel 1943 acuiscono il loro opporsi al regime imbrattando i muri di Monaco con slogan anti-hitleriani.
Fanno anche opera di volantinaggio nei luoghi pubblici, sperando sempre di suscitare una reazione nel proprio popolo.
L’ultimo volantinaggio è il 18 febbraio 1943, nell’Università di Monaco. Un bidello nazista infatti riconosce Sophie Scholl e la denuncia alla polizia. Immediatamente arrestata con il fratello e l’amico Prost, vengono torturati ininterrottamente per quattro giorni, fino al 21 febbraio. Il 22 vengono processati e il Tribunale del Popolo li condanna alla ghigliottina, pena immediatamente eseguita.
Gli altri membri della Rosa Bianca vengono arrestati il 19 febbraio e decapitati nei mesi successivi. Il totale fu di quindici condannati a morte e trentotto incarcerati, con una condanna da un minimo di sei mesi a un massimo di dieci anni (alcuni di loro vennero poi liberati dalle truppe americane).
Tra i sopravvissuti, c’è chi poi ha fondato l’associazione “Weisse Rose”, nel 1986, a Monaco. Tale associazione, aperta a tutti, ha sei obiettivi:
1) diffondere la conoscenza della Rosa Bianca attraverso mostre e pubblicazioni
2) promuovere la ricerca di fonti e notizie in archivi
3) creare un luogo di informazione e documentazione nonché un archivio della Rosa Bianca
4) Curare i contatti con insegnanti e alunni delle scuole attraverso relazioni e discussioni presso tutte le istituzioni culturali
5) Cooperare - soprattutto con il Goethe Institut - per diffondere all'estero la conoscenza della Rosa Bianca e promuovere uno studio differenziato della storia tedesca
6) Collaborare con gruppi e istituzioni - soprattutto ebraiche - che operano contro il razzismo e ogni forma di intolleranza
Il 5 febbraio 1996, a Belluno, il Presidente di tale associazione ha tenuto una conferenza intitolata: “L’importanza della «Rosa Bianca» per il futuro dell’Europa”. Era allora Franz Josef Müller (deceduto il 31 marzo 2015, a Monaco). Egli fu membro attivo della “Rosa Bianca”. Fu processato il 19 aprile 1943 a Monaco, condannato a pena detentiva, con altri suoi undici amici, “per aver diffuso volantini e non aver denunciato, per quanto a conoscenza, l'impresa di alto tradimento”.Vale la pena leggerla. La alleghiamo in PDF.