EDITH STEIN
EDITH STEIN

Dalla psicologia di Stern alla fenomenologia di Husserl

La lettura delle “Ricerche logiche” di Husserl, le considerazioni da lui fatte circa la coscienza, la riduzione fenomenologica e l’intuizione, sono ciò che ha conquistato la Stein, brillante studente ventenne dell’ Ateneo di Breslavia.  
Sostenuta la maturità scientifica, ella si iscrive all’Università di Breslavia, sua città natale. Inizia a frequentare le lezioni il 27 aprile 1911, con quell’entusiasmo che sempre caratterizza il suo percorso formativo.
Nella sua autobiografia “Storia di una famiglia ebrea”, così racconta:

 

“ Fu un bene che l’orario di alcuni dei seminari da me presi in considerazione coincidesse, in modo che fui costretta ad una selezione. Altrimenti sarei certo arrivata a 40 o 50 ore settimanali. Ma anche così ce n’erano abbastanza: l’indogermanico, il protogermanico e la grammatica tedesca moderna, la storia del dramma tedesco, la storia della Prussia nell’età di Federico il Grande e la storia costituzionale inglese, un corso di greco per principianti (ero sempre stata insoddisfatta che non ci fossero licei classici femminili ed ora volevo recuperare in parte le cose perdute; inoltre le disposizioni per gli esami di storia richiedevano qualche nozione di greco) A ciò si aggiunge la cosa che aspettavo con maggiore impazienza: quattro ore di introduzione alla psicologia con William Stern e un seminario di un’ora sulla filosofia della natura con Richard Hönigswald. Entrambi mi ammisero già nel primo semestre alle loro lezioni. Dovette essere di auspicio, perché nei quattro semestri durante i quali studiai a Breslavia, mi occupai soprattutto di psicologia” (1).

 

Ella è come sempre una appassionata ricercatrice della sapienza, della verità. Per lei lo studio non è un mezzo per acquisire le indispensabili competenze per poter svolgere una professione e dunque sistemarsi nella vita; lo studio è piuttosto la possibilità per lasciar emergere dentro di sé le domande esistenziali più profonde e per cercare, anche tramite l’utilizzo dell’intelletto, le risposte più autentiche. Veramente, passo dopo passo, sceglie di scavare profondo, di non accontentarsi né della superficie, né delle apparenze, né del cibo che già altri hanno ruminato. Questa sua ricerca appassionata e personale è esattamente ciò che le permetterà di formare dentro di sé quello che, anni dopo, altri definiranno “il castello della coscienza”(2).

La questione più urgente che la Stein porta dentro di sé è quella antropologica: si domanda non chi è l’uomo in astratto, ma la persona concreta che lei per prima è e che ogni essere umano che le è dato di incontrare è. Per questo sceglie di frequentare i corsi di psicologia di Stern (3)  e il seminario di filosofia di Hönigswald (4). Vi partecipa però in maniera adulta, quindi con spirito critico. Sempre nella sua autobiografia infatti scrive:

 

“ Le lezioni di Stern avevano un carattere molto semplice e facilmente comprensibile; le consideravo come liete ore di intrattenimento e ne ero un poco delusa. Tanto più che ci si doveva sforzare con Hönigswald. Il suo acume penetrante e i suoi incalzanti ragionamenti mi entusiasmavano. Era un risoluto sostenitore del criticismo ed è ancora oggi tra quei pochi che sono rimasti fedeli a questa tendenza; per essere in grado di seguirlo bisognava far proprio l’intero apparato concettuale della filosofia kantiana. C’era qualcosa di seducente per i giovani che frequentavano il suo seminario nel potersi esercitare in schermaglie dialettiche con armi tanto affilate. Chi interveniva con osservazioni che non fossero cresciute su questo terreno, veniva ridotto al silenzio  dalla ponderata dialettica di Hönigswald e dalla sua mordace ironia, ma era difficile che ne venisse interiormente dominato. Un giorno, uno studente più anziano e molto indipendente, mi disse: «ci sono cose che uno non osa pensare al seminario di Hönigswald. Ma al di fuori di questo, non posso ignorarle». Ad ogni modo, era pur sempre un ottimo addestramento al pensiero logico, e questo allora bastava a rendermi felice” (5).

 

Ella si  butta a capofitto nella vita universitaria di Breslavia; la sua modalità di studio non è mai pedissequa o adesiva, ma sempre molto critica, animata da una personale ricerca di senso. Per questo motivo l'Ateneo da lei frequentato, a un certo punto, inizia a divenirle stretto, incapace di fornire adeguate risposte al suo bisogno interiore.
Durante le vacanze estive legge le "Ricerche logiche" di Husserl, il filosofo di Gottinga fondatore della fenomenologia. E' lo spalancarsi di un orizzonte nuovo, quasi una risposta alla sua crescente insoddisfazione verso gli insegnamenti dello psicologo Stern. L'incontro con Otto Lipmann, collaboratore di quest'ultimo, risulta essere decisivo. Motivo della conoscenza è l'ipotesi di un lavoro di tesi sullo sviluppo del pensiero infantile.
Così la Stein stessa racconta:

 

“Portai con me il ricordo di un piacevole pomeriggio e la convinzione che del lavoro non ne avrei fatto più nulla. Era sbagliato fin dal principio pensare a un lavoro di psicologia. I miei studi in questa materia avevano prodotto in me l’opinione che questa scienza si trovasse ancora agli inizi, che le mancasse la base necessaria di chiari concetti fondamentali e che essa non fosse in grado di elaborarli. Al contrario, ciò che sapevo riguardo alla fenomenologia mi entusiasmava tanto, proprio perché essa consisteva in questo lavoro di chiarificazione; perché in questo campo si elaboravano fin dall’inizio gli strumenti intellettuali di cui si aveva bisogno” (6).

 

Per questo motivo la Stein lascia Breslavia, teoricamente per un semestre, e si trasferisce a Gottinga, ove giunge nell’aprile 1913; ha 21 anni. E’ interessante come, con brevissimi tratti, descrive questa cittadina posta nel cuore della Germania:

 

“La cara Gottinga! Penso che solo coloro che hanno studiato là negli anni tra il 1905 e il 1914 - la breve fioritura della scuola fenomenologica di Gottinga - può capire che cosa risuoni in questo nome per noi” (7).

 

E ancora:

 

“L’università e gli studenti erano il fulcro della vita cittadina; era una vera e propria «città universitaria», non - come Breslavia - una città che, tra le altre cose, aveva anche una università” (8).

 

Gottinga cioè non è una città a pieno titolo, in cui gli atenei sono variabilmente integrati; al contrario, è luogo che trova la sua sussistenza e la sua ragion d’essere proprio nell’università. Da qui la conseguenza che a essere protagonisti della vita del luogo sono i docenti e gli studenti, legati tra loro dalla passione per le materie di studio. Se poi, come di fatto sta accadendo in quegli anni, sta venendo alla luce una nuova corrente di pensiero filosofico, si può ben immaginare quale sia il clima emotivo, l’investimento delle vivaci energie intellettuali, la passione per la ricerca, la discussione, il confronto, l’approfondimento.
Sono gli anni della nascita della fenomenologia e la Stein è esattamente una di quelle persone che ha raggiunto il fondatore della fenomenologia avendo intuito che ivi vi è possibilità di elaborare gli strumenti intellettuali fondamentali del pensiero e dell’indagine sul reale, a differenza degli studi psicologici, che sono non solo ancora a un livello embrionale, ma che paiono mancare della capacità di avere in sé la base concettuale necessaria da porre a fondamento delle ricerche stesse. Annota:

 

“L’istituto di psicologia era completamente separato da questo [cioè dal luogo ove si svolgevano i seminari di filosofia, ndr], si trovava infatti nei pressi  della chiesa di S. Giovanni, un po’ ad occidente  del mercato; un edificio antico dai gradini consumati e dalle stanze strette. La distanza spaziale indicava già che la filosofia e la psicologia, a Gottinga, non avevano niente a che spartire” (9).

 

Il primo contatto con Husserl è in aula universitaria, ove si radunano tutti gli studenti che desiderano essere ammessi al seminario di filosofia del maestro. Lì egli è solito tenere una discussione generale, cui fa seguire un incontro personale a casa propria con ciascuno dei partecipanti. E’ l’inizio di una relazione assai feconda. Al seminario viene discussa l’ultima opera editata dal maestro, intitolata “Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica”. Un pomeriggio alla settimana poi il maestro si rende disponibile per incontrare uno a uno i suoi studenti e discutere con ciascuno dell’opera in questione. Oltretutto il testo è particolarmente delicato perché segna come un passaggio evolutivo nella visione fenomenologica di Husserl, che però alcuni dei suoi primi allievi di Gottinga, realisti convinti, percepiscono come una sorta  di ritorno all’idealismo (sebbene assai diverso da quello di matrice kantiana) e per questo motivo, pur con rincrescimento, non seguono più il maestro in maniera così ravvicinata. La Stein, sedotta da questo fermento, intuisce che non è possibile concludere già l’esperienza di Gottinga. In più un lavoro fatto per il corso di storia con Max Lehmann, con qualche piccolo ritocco, può diventare materiale per l’esame di Stato: come lasciar perdere l’occasione? Risolutamente decide non solo di fermarsi ancora a Gottinga, ma di chiedere a Husserl la tesi di laurea. E’ richiesta coraggiosa, perché gli altri studenti frequentavano per anni i corsi del maestro prima di azzardare ad inoltrarsi in un lavoro personale. Questi non solo non respinge la richiesta, ma permette alla studentessa di scegliere l’argomento e di cominciare a lavorarci sopra.

 

“Ora la questione era l’argomento da scegliere. Su questo punto non mi trovavo in imbarazzo. Nel suo seminario sulla natura e lo spirito, Husserl aveva parlato del fatto che un mondo esterno oggettivo poteva essere conosciuto solo in modo intersoggettivo, cioè da una maggioranza di individui conoscenti che si trovino tra loro in uno scambio conoscitivo reciproco. Di conseguenza, è permessa una esperienza di altri individui. Collegandosi alle opere di Theodor Lipps, Husserl chiamava Einfühlung questa esperienza, ma non dichiarava in cosa consistesse. C’era perciò una lacuna che andava colmata: io volevo ricercare che cosa fosse l’Einfühlung. Ciò non dispiacque al maestro.” (10).

 

Con questo la Stein entra a pieno titolo nel mondo della fenomenologia: allieva di Husserl, porterà il suo contributo peculiare proprio riguardo l’interessantissimo tema dell’ Einfühlung, cioè dell’empatia.
La ricerca esistenziale, nella sua dimensione personale, non è però una idilliaca passeggiata tra campi fioriti. Al contrario, essa richiede uno scavo interiore profondo, spesso doloroso, perché richiede il superamento di difese, di luoghi comuni, andare oltre i pregiudizi.
Ella conosce molto bene questo dolore e così ne parla:

 

“Per la prima volta sperimentai qualcosa che avrei sempre ritrovato nel mio lavoro: i libri non mi servivano a nulla finché non avessi chiarito la questione con un lavoro personale. Questa lotta per la chiarezza si compiva in me solo con grandi tormenti e non mi dava pace giorno e notte. Disimparai a dormire e ci vollero molti anni prima che mi fossero di nuovo concesse notti tranquille. Sprofondavo sempre più in una autentica disperazione. Era la prima volta in vita mia che mi trovavo di fronte a qualcosa che non potevo ottenere con la mia volontà (...)  Ciò mi condusse a un punto tale che la vita mi apparve insopportabile. Spesso dicevo a me stessa che tutto ciò non aveva senso. Se non avessi portato a termine la tesi di laurea, il lavoro sarebbe bastato per l’esame di Stato; e se non una grande filosofa, forse sarei potuta diventare un’abile insegnante. Ma le considerazioni razionali non servivano a nulla. Non riuscivo più a percorrere una strada senza avere il desiderio che una macchina mi investisse. E quando facevo una gita, speravo di precipitare e restare morta. Nessuno intuiva nulla dal mio aspetto. Nella Società filosofica e al seminario di Reinach ero contenta per il lavoro comune; temevo soltanto la fine di quelle ore, nelle quali mi sentivo protetta, e il ricominciare delle mie solitarie battaglie” (11).

 

La Stein non è persona iperemotivizzata, facile a lasciarsi andare a eccessi; al contrario, è persona molto sobria ed equilibrata, quindi si può comprendere verso quali profondità interiori stia scavando, per far sgorgare dal centro di sé una fonte autenticamente sorgiva.
Da sottolineare è poi una espressione che potrebbe facilmente essere fraintesa. Ella tenta di trovare serenità nel pensiero di poter diventare un’abile insegnante, casomai fallisse come filosofa. Per interpretare correttamente questa affermazione è necessario rifarsi a quanto da lei detto al momento della scelta della facoltà universitaria, quando lo zio David tentava di influenzarla, come peraltro aveva con successo fatto con Erna, sua sorella. Aveva scritto:

 

“Siamo al mondo per servire l’umanità... Questo si può fare nel migliore dei modi, facendo qualcosa per cui si ha una vera predisposizione…” (12).

 

Il punto dunque è proprio far sgorgare dal profondo di sé quella eccellenza personale che ha per finalità non la vanagloria, ma il servizio al prossimo. Per questo per la Stein è importante essere filosofa fenomenologa, perché ha riconosciuto essere quella la sua identità autentica.
Il suo punto di crisi é riuscire a dare una adeguata definizione di “intuizione”.
Ne parla con l’amico Hans Lipps (13); l’effetto non è dei migliori.
Così commenta:

 

“La conversazione con Lipps ebbe un effetto deprimente su di me. In confronto a lui mi sentivo ancora una novellina nel campo della fenomenologia, e si rafforzò in me l’impressione di essermi imbarcata in un’impresa che andava oltre le mie forze” (14).

 

A peggiorare la situazione la notizia che di lì a poco Hans Lipps avrebbe lasciato Gottinga.

 

“Mi dispiacque molto apprendere questa notizia. Pensai che mi sarei sentita ancora più sperduta quando non ci fosse più stata la possibilità di veder comparire da qualche parte la sua alta figura e la sua giacca blu marino” (15).

 

In realtà il maestro di tanto in tanto si informa come va il lavoro; Edith tenta di aggiornarlo, ma egli di fatto si mostra incapace di ascolto:

 

“Durante il semestre, Husserl chiese talvolta conto dei progressi del mio lavoro. Allora dovevo andare da lui, di sera. Ma questi colloqui non portavano chiarimenti. Dopo che avevo pronunciato qualche parola, egli si sentiva stimolato a parlare e lo faceva per così tanto tempo, che alla fine era troppo stanco per proseguire la conversazione. Io continuavo e potevo dire a me stessa che avevo imparato qualcosa, ma poco riguardante al mio lavoro. Così si svolgevano abitualmente anche le sue sedute semestrali” (16).

 

Un suggerimento decisivo le viene offerto dall’amico Moskiewicz:

 

“L’unico a sapere che non ero contenta dell’andamento del mio lavoro - pur non immaginando i tormenti interiori che mi procurava - era Moskiewicz. Il poveretto non poteva certamente aiutarmi, ma qualche settimana prima della conclusione del semestre mi disse: «Perché non va da Reinach?». E cercò di persuadermi, fintanto che decisi di seguire il suo consiglio” (17).

 

Così la Stein descrive il suo rivolgersi a Reinach:

 

“Cominciarono le vacanze, e Gottinga si svuotò. Restai sola, seduta alla scrivania nella mia stanzetta. Poiché non avevo più lezioni, potevo scrivere quasi senza interruzione. In una settimana avevo finito. Erano circa le 8 di sera, una pioggia sottile cominciò a cadere. Ma io non riuscivo a restare nella stanza, dovevo uscire e appurare quando Reinach sarebbe arrivato. Arrivata allo Steingraben, vidi un taxi che veniva dalla Friedländerweg, voltò e andava su per la strada. Si fermò di fronte alla casa di Reinach - qualche momento più tardi, la luce si accese nel suo studio. Ora ero soddisfatta. Feci dietro front e tornai a casa; non so dire con quanta gioia e gratitudine. Ancora oggi, dopo più di vent’anni, avverto ancora qualcosa di quel profondo sospiro di sollievo.
Il mattino dopo, mi trovai sul posto col mio manoscritto e suonai alla porta. Mi aprì lo stesso Reinach [...] Questa volta non ero tanto impaurita come al primo esame. Reinach fu molto soddisfatto. Gli chiesi se la tesi sarebbe andata bene per l’esame di Stato. O, certo! Husserl ne sarebbe stato contento. Non riceveva spesso tesi di quel genere. Ora sarei potuta andare in vacanza senza alcun pensiero. Ci dicemmo lietamente arrivederci ad aprile.
Dopo queste due visite a Reinach mi sentii come rinata. Tutto il tedio di vivere era scomparso. Colui che mi aveva tratto in salvo dalle difficoltà mi appariva come un angelo buono. Mi sembrava che con una parola magica egli avesse trasformato la mostruosa creazione della mia povera testa in un tutto chiaro e ordinato. Non dubitavo della attendibilità del suo giudizio”
(18).

 

E’ un passaggio davvero molto coinvolgente questo, che mostra con evidenza da un lato quanto faticoso possa essere la ricerca personale e dall’altro quanto importante sia non camminare mai da soli, ma avere sempre una persona cui fare riferimento.
Con delle bellissime parole infine testimonia quanto la ricerca esistenziale coinvolga tutte le fibre dell’essere:

 

Credo che qualcuno che non abbia personalmente lavorato a qualcosa di filosoficamente creativo, se ne possa difficilmente fare un’idea. A questo proposito, non ricordo di aver provato già un poco di quella felicità profonda che in seguito mi sarebbe sempre accaduto di sentire, una volta superatele prime e più dure fatiche” (19).

 

 

 

Note

(1) STEIN E., Storia di una famiglia ebrea, p. 168, Città Nuova Editrice, Roma, 1992.


(2)  cfr. STEIN E., Nel castello dell'anima - Pagine spirituali - Traduzione e commento di Cristiana Dobner, p. 8, Edizioni OCD, Morena Roma, 2004.


(3) William Luois Stern (Berlino, 1871 - Poughkeepsie, 1938), filosofo e psicologo, fondatore a Berlino, nel 1906, dell’ “Insitut für angewandte Psycologie” (Istituto di psicologia applicata)  e nel 1907 della rivista “Zeitschrift für angewandte Psychologie”.


(4) Richard Hönigswald (Magyaróvár, 1875 - New Haven 1947), filosofo appartenente alla cerchia più ampia del neo-kantismo.


(5) STEIN E., Storia di una famiglia ebrea, pp. 168-169, Città Nuova Editrice, Roma, 1992.


(6) STEIN E., op.cit., p. 202, Città Nuova Editrice, Roma, 1992.


(7) STEIN E., op. cit. p. 218.


(8) STEIN E., op. cit. 221.


(9) STEIN E., op. cit., p.220.


(10) STEIN E., op. cit. , p. 246. In realtà è interessante anche il prosieguo del racconto della Stein: "Malgrado ciò dovetti ingoiare un’altra pillola amara: egli voleva che io svolgessi la tesi come confronto critico con Theodor Lipps. Per la verità aveva piacere che i suoi allievi nelle loro tesi mettessero in chiaro il rapporto della fenomenologia  con le altre tendenze filosofiche significative dell’epoca. A lui personalmente premeva poco. Era troppo pieno delle sue idee per poter impiegare il tempo nella discussione con gli altri. Tuttavia, questa richiesta non incontrava molto favore neppure da parte nostra. Era solito dire sorridendo: «Io educo i miei allievi a divenire filosofi sistematici e poi mi meraviglio se non vogliono fare lavori di storia della filosofia». Sul primo punto, però, era irremovibile. Dovevo ingoiare l’amara pillola, cioè studiare a fondo la lunga serie delle opere di Theodor Lipps”.


(11) STEIN E., op. cit., pp. 253-254.


(12) STEIN E., op. cit., p. 161.


(13) Hans Lipps (Pirma, 1889 - Dudino, 1941), dopo il liceo studia architettura, estetica e filosofia a Monaco di Baviera nel 1909; nel 1911 si trasferisce a Gottinga per studiare con Husserl e diviene membro del “Circolo Fenomenologico”. Studia anche biologia e nel 1912 completa il dottorato con una tesi sui cambiamenti strutturali delle piante; Dopo di che si iscrive alla facoltà di medicina prima a Gottinga e poi a Friburgo, laureandosi con una tesi sugli effetti di alcuni derivati della colchicina. Affronta anche degli studi di matematica discutendo una tesi  di filosofia della matematica.


(14)  STEIN E., Storia di una famiglia ebrea, p. 255, Città Nuova Editrice, Roma, 1992.


(15) STEIN E., op. cit., p. 255.


(16) STEIN E., op. cit., p. 254.


(17) STEIN E., op. cit., p.257.


(18) STEIN E., op. cit., pp. 258-259.


(19) STEIN E., op. cit., pp.257-258.

 

 

 

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