EDITH STEIN
EDITH STEIN

Dalle memorie di mia madre

Il primo capitolo, che ha redatto nella sua casa a Breslavia è intitolato “Dalle memorie di mia madre”. Alla madre sono dedicate le prime pagine del capitolo ed è lei quella sorta di “filo rosso” che lega l'intero capitolo. Siccome però è soggetto di particolare interesse, ci riserviamo di parlare approfonditamente di lei a parte. Accenniamo solo ad un aspetto che serve per inquadrare il tipo di educazione che Augusta ha ricevuto e che a sua volta ha trasmesso ai suoi figli.
A pag. 28 si legge:


“Fu sempre insegnato loro [ad Augusta, ai suoi fratelli e alle sue sorelle, ndr] il rispetto nei confronti di qualsiasi religione e di non parlarne mai male. Come detto precedentemente, il nonno insegnò ai suoi figli le preghiere prescritte. Il sabato pomeriggio entrambi i genitori chiamavano a raccolta i figli che erano in casa per recitare insieme con loro le preghiere vespertine e serali e spiegargliele. Lo studio giornaliero delle Scritture e del Talmud -considerato un obbligo dell'uomo ebreo nei secoli precedenti e tuttora in uso presso gli ebrei orientali- non veniva più praticato a casa dei miei nonni; ciò nonostante tutti i precetti della Legge venivano osservati col massimo rigore”.


Abbiamo già avuto modo di dirlo, la famiglia Stein è una famiglia ebrea praticante, ma non strettamente osservante.
Più in là infatti, a pag. 31, Edith scrive:


“ Il sabato, talvolta, ci conducevano alla sinagoga”.


E più sotto:


“Zia Mika […] era l'unica della famiglia ad aver conservato la fede dei genitori e si curava di conservare la tradizione, mentre per gli altri il rapporto con l'ebraismo era svincolato da fondamenti religiosi”.


Un ebraismo, dunque, che sembra essere maggiormente legato alla razza che non alla identità religiosa, una sorta di “ebraismo laico”. E' una singolarità questa, perché il popolo ebraico si costituisce a partire dalla scelta di Dio di fare di lui il popolo eletto: dunque l'ebraismo ha fondamento religioso, non geografico e dunque razziale. Eppure l'identità ebraica permane anche quando il fondamento religioso sembra oscurarsi.
Non meno forte è però l'identità tedesca. Sempre parlando degli avi infatti Edith racconta che in realtà erano originari di Lublino, città non lontana dal confine polacco. Quando l'Alta Slesia passò alla Polonia, scrive Edith:


“L'intera famiglia si attirò l'odio dei polacchi per la sua decisa presa di posizione a favore della causa tedesca […] I miei parenti non poterono e non vollero neppure pensare di rimanere là, vendettero perciò la casa madre della nostra famiglia e lasciarono il paese natale”.


Edith è però l'unica a essere nata a Breslavia.
Il primo figlio di Augustra e Siegfried Stein è Paul che nasce nel 1873. Quando il papà muore ha perciò 21 anni. Di lui Edith racconta che frequenta il liceo, ma non l'università, per mancanza di mezzi. Chissà, annota Edith, forse i mezzi si sarebbero potuti trovare se egli si fosse fatto valere, ma non era nella sua indole “farsi valere”. E' l'aiuto della madre in negozio per quanto riguarda la contabilità, fino a che non trova lavoro in banca. Nelle ore libere si dedica alla musica, alla lettura (sua grande passione) e alle passeggiate. Morirà in campo di concentramento nel 1943.
Dopo Paul, Selma, nata nel 1873, ma morta l'anno successivo.
Nel 1876 viene alla luce Else. Di lei Edith dice:


“Governava la casa con grande fermezza ed estrema parsimonia, sicché tutti sospiravamo un po' sotto il suo giogo”.


Ragazza eccezionalmente bella, dotata e con molteplici interessi, sempre circondata da sciami di ammiratori, sembra però non essere mai felice in casa; quando tuttavia si allontana dalla famiglia, desidera ritornarvi con maggiore intensità di quanto avesse desiderato allontanarsi. La madre è il suo ideale, ma nel contempo ha con lei un rapporto conflittuale, cosicchè entrambe le parti soffrono. Sposa Max Gordon e ha 3 figli: Ilse, Werner e Anni. Riesce a emigrare per tempo in America, ove muore nel 1956.
Dopo Else, Hedwig, che nasce nel 1877, ma muore nel 1880.
Arno invece nasce nel 1879. Edith lo descrive come persona impetuosa, che quando è in collera perde il controllo di sé. Fonte di sofferenza per la madre, oltreché per il suo carattere, perché non dedica tutte le sue energie al negozio di legname: è infatti impegnato in diverse attività associative e assume in continuazione nuove cariche onorifiche. Muore nel 1948, riuscendo a espatriare durante la persecuzione nazista.
Ha 4 figli: Wolfgang, Eva, Helmut e Charlotte. Eva morirà in campo di concentramento perché, a motivo di alcuni suoi handicap, non ottiene il visto di estradizione: i genitori la affidano alla zia Frieda, che condivide la stessa sorte del campo di concentramento.
Dopo Arno, Ernt, 1880-1882.
Poi appunto Frieda, nata nel 1881, fedele aiuto della madre in negozio. Grazie alla sua tenace volontà riesce a portare a termine gli studi superiori, ma ha decisamente più attitudine  e capacità per i lavori manuali. Molto dipendente dalla mamma, si occupa della contabilità del negozio e della cassa, ma non ha le stesse larghe vedute di Augusta. Edith ed Erna, la sorella più grande di lei di un anno, crescono con un forte contributo di Freida, a cui sono legate da particolare affetto, sebbene sembri essere un po' piena di sé e incline a dare giudizi un po' troppo caustici sugli altri. Sposa Salo, da cui ha una figlia, Erika, ma il matrimonio dura un solo anno e Freida torna in casa Stein: per le idee severe con cui sono educate, vivono tutti la separazione come una vergogna, ma la mamma non permette che Freida se ne accorga. Muore in campo di concentramento nel 1942.
Dopo Freida, Rosa, che nasce nel 1883. Non priva di doti, a scuola non brilla per le compagnie di ragazzacci che frequenta. Non mostra alcuna inclinazione particolare per una professione, quindi viene destinata dalla mamma ai lavori domestici, che svolge con estrema cura. Meno parsimoniosa di Erna, sotto il governo di Rosa i bambini, sua passione, gioiscono di un clima sereno e affettuoso. Per un certo tempo vive il suo impegno domestico come subalterno a quello di tutti gli altri membri della famiglia; si tenta perciò di farla alternare a Freida nel negozio, ma non è un successo, quindi Rosa torna ai lavori domestici, frequentando però alla sera corsi di letteratura e di storia dell'arte all'Università popolare. Si rasserena quando imbocca la via della spiritualità. E' la sorella che muore con Edith nel 1942.
Dopo Rosa, Richard, che vive dal 1884 al 1887.
Nel 1890 nasce Erna, la sorella che vive con Edith una relazione assolutamente particolare. Anche di lei sarà detto a parte.

Ciò che colpisce nella presentazione che Edith fa dei suoi familiari è il grande equilibrio, come a dire che l'affetto non idealizza e non nega il reale, segno anche questo di profonda maturità umana.


 

Augusta Courant, vedova Stein

Auguste Courant Stein

Presentiamo ora Auguste, perno della famiglia Stein.
Ricordiamo infatti che il papà è morto il 10 luglio 1893, quando Edith non aveva ancora 2 anni.
Per parlare di lei ci avvaliamo prima di tutto di quanto Edith stessa racconta nella sua autobiografia “Storia di una famiglia ebrea”, ma anche di un altro interessantissimo libro scritto da Susanna Batzdorff, figlia della sorella prediletta di Edith, Erna, intitolato “Zia Edith: eredità ebraica di una santa cattolica”, Edizioni OCD. L’edizione originale è in lingua inglese, “Aunt Edith: the Jewish heritage of a catholic saint”, Edizione Templegate di Springfield, nell’Illinois. Susel infatti emigrò con tutta la sua famiglia negli Stati Uniti d’America nel 1939; è a tutt’oggi vivente, risiede a Santa Rosa in California, ed è stata presente al processo di beatificazione prima e di canonizzazione poi di Edith.
La prima importante annotazione riguardo la mamma e la sua famiglia è a pag. 28 della autobiografia di Edith. Vi troviamo scritto:


“Fu sempre insegnato loro il rispetto nei confronti di qualsiasi religione e di non parlarne mai male. Come ho detto precedentemente, il nonno insegnò ai suoi figli le preghiere prescritte. Il sabato pomeriggio entrambi i genitori chiamavano a raccolta i figli che erano in casa per recitare insieme con loro le preghiere vespertine e serali e spiegargliele. Lo studio delle Scritture e del Talmud - considerato un obbligo dell’uomo ebreo nei secoli precedenti e tuttora in uso presso gli ebrei orientali - non veniva più praticato a casa dei miei nonni; ciò nonostante tutti i precetti della Legge venivano osservati col massimo rigore”.


Dunque Auguste viene educata nel massimo rispetto dell’altrui religione. Questo è indubbiamente un grande valore... Quando però si trova a dover vivere proprio questo valore nella sua vita, esattamente quando Edith le annuncia di aver scelto di essere cattolica, allora il valore viene più proclamato che vissuto... Ancora di più poi quando Edith sceglie di entrare al Carmelo: mai risponderà alle lettere della figlia. Edith non giudica la madre: mai nei suoi scritti si trovano parole di recriminazione. La sua coscienza è rettamente formata, il suo intelletto è cristallino. Sa fare i distinguo e sa non farsi travolgere dalle emozioni. Questo però a noi giunge comunque come monito per una continua verifica di quanto veramente viviamo i valori che proclamiamo.
Più avanti, da pag. 34 a pag. 38, si leggono altre interessanti annotazioni sulla madre.
Edith la descrive come una donna intelligente, sensibile, energica: 

 

“Quando non ha lavori più urgenti in casa o al negozio, lavora ai ferri e legge”; poi: “Il lavoro più faticoso non era mai troppo duro per lei”; e ancora: “Mia madre aveva imparato da piccola a suonare un po’ il pianoforte”. Ancora: “Era una gioia per mia madre coltivare lei stessa la frutta e la verdura, e in questo aveva una mano felice (...) Ancora oggi è per mia madre grandissima gioia seminare, raccogliere e regalare agli altri parti abbondanti del raccolto. In tal modo si attiene all’antica usanza ebraica per cui le primizie d’ogni tipo non si mangiano, ma si regalano”.

 

Auguste intrattiene rapporti amichevoli anche con clienti e fornitori del negozio.  Dice Edith a proposito delle uscite della madre che si recava di persona a verificare la qualità del legname:

 

“Quando ella stessa comperò dei boschi in quei paraggi [che sono quelli dove il marito era morto per insolazione, ndr] e fece tagliare gli alberi, il signor Ludwig  la andava a prendere alla stazione con il carretto agricolo e la accompagnava spesso nei suoi giri. Se per la strada c’era da oltrepassare una pozza d’acqua, egli la prendeva in braccio. La sua buona moglie la rinvigoriva con il latticello fresco nei giorni caldi d’estate, e con il caffè caldo nei pungenti freddi giorni invernali. Così nacque un’amicizia che durò tutta la vita. A quella famiglia di quattro persone mia madre spediva dalla città vestiti e derrate coloniali. In cambio, quando venivano in città, i Ludwig portavano pane casereccio e burro, formaggio bianco e talvolta una capra o un paio di tinche. Quando la loro figlia maggiore si maritò, la nostra famiglia dovette essere presente al grande matrimonio contadino”.


Era anche una donna di notevoli doti commerciali. Morto il marito, i suoi fratelli le consigliarono di abbandonare la ditta - che peraltro non volgeva in ottime condizioni -. Ecco cosa racconta Edith:


“La sua decisione era presa: voleva cavarsela da sola e non accettare aiuto da nessuno .(...) Ella fece presto a impadronirsi delle conoscenze tecniche e del particolare procedimento del calcolo del legname. E piano piano, passo dopo passo, riuscì a farsi una posizione. (...) Mia madre non si accontentava di procurare il necessario per il bisogno quotidiano. Anzitutto si era imposta un grande compito: nessuno avrebbe dovuto dire, morto mio padre, che egli non avesse pagato i suoi debiti, che infatti furono pian piano estinti fino all’ultimo centesimo. Era inoltre necessario dare ai figli una buona educazione”.


Così Edith ci presenta la madre, Auguste.

In realtà ci sono altre due questioni relativa alla mamma a cui Edith accenna.
Ci riferiamo ora allo scritto di Susanne Batzdorff, nipote di Edith, figlia della prediletta sorella Erna. Susel basa la sua narrazione principalmente su due fonti: i suoi ricordi personali e i racconti di sua madre, la dottoressa Erna Stein, sposata Biberstein.
Il capitolo 6 porta il titolo: “Mia nonna, la Matriarca”.
Così esordisce:


“Fisicamente, Auguste Stein era bassa, e un po’ grassottella. Come la maggior parte delle vedove del suo tempo, vestiva sempre di nero e, a casa, non la si vedeva mai senza il grembiule. Quando la penso che riposa, la vedo seduta accanto alla finestra, da dove poteva osservare il mondo passare, il tram, i veicoli e la gente. L’immancabile lavoro a maglia, parlava con noi o leggeva. Il più delle volte, anche da ottuagenaria, la nonna era occupata. Si recava a piedi al lavoro per verificare l’andamento dell’impresa di legname, oppure era china sul terreno dell’orto, o intenta a trattare con i clienti”.


Veramente questa descrizione della nipote che visse con lei 12 anni corrisponde perfettamente a quanto Edith ha scritto nella sua autobiografia.
Non di meno il giudizio circa le sue doti di commerciante:


“Sebbene non avesse una educazione elevata, aveva grande buon senso e notevole acume negli affari”.


E ancora, in piena corrispondenza con quanto scritto dalla zia Edith:


“ Anche da piccola non eludeva il lavoro duro” e “Le piaceva piantare e avere cura del raccolto e ne distribuiva parte ad amici e conoscenti del vicinato”.
Un aspetto che invece dalle pagine di Edith non emerge, ma che troviamo invece nei ricordi nella nipote, è la simpatia della nonna. Scrive infatti:

 

“La nonna possedeva una vibrante gioia di vivere, un inalterabile senso dell’umore che deve averla aiutata nel superare molte asprezze della vita”.


Al riguardo cita un brano scritto da suo fratello Ernst, minore di lei, inserito nell’inedito “Erinnerungen an Tante Rosa”, cioè “Ricordi su zia Rosa”, la sorella morta con Edith ad Auschwitz:


“Quando faceva il bagno a noi bimbi, il che accadeva abbastanza spesso quando eravamo più piccoli, ci intratteneva con canti tratti dalle operette di Jacques Offenbach (”Venne un ricco piantatore brasiliano...” ) e altre melodie degli spettacoli cui aveva assistito in gioventù. A conclusione del bagno, ci avvolgeva dalla testa ai piedi in un accappatoio gigantesco e faceva finta, mentre ci asciugava, che fossimo una montagna di pasta da trasformare in pane. Il che implicava solletico e pizzicotti, fino a quando eravamo del tutto senza fiato dalle risa, Nonna non meno di noi”.


Una nota simpatica, questa, che ci aiuta a rendere più completo il ritratto di questa donna tanto forte ed energica.
Ci sono invece due aspetti di Auguste che meritano attenzione, ma che è interessante affrontare tenendo presenti sia la versione di Edith sia la lettura della nipote Susanna, perché offrono sfumature diverse... chissà, forse complementari.
La prima riguarda la relazione tra Auguste e il marito.
Si conoscono quando Auguste ha 9 anni. La famiglia Stein commercia già in legname. Imprenditrice è Johanna Stein, mamma di Siegfried, donna di polso, al punto tale che i figli temono di esprimere la propria opinione quando questa è diversa da quella della mamma. Il figlio Siegfried è impiegato in questa ditta di famiglia, che però non versa in buono stato. Quando i genitori di Edith si sposano, inizialmente Siegfried continua a lavorare presso i suoi genitori, ma la situazione si fa presto insostenibile, dal punto di vista economico, per la giovane coppia. Decidono così, grazie all’aiuto finanziario dei genitori di Auguste, di dar vita a una attività propria, sempre nel campo del legname. Le fatiche non sono poche nell’avviare questa nuova attività; in più accadono anche dei rovesci finanziari. I primi anni nella nuova famiglia Stein la situazione economica è davvero molto precaria, al punto tale che si decide di lasciare Lublino e di trasferirsi a Breslavia e ricominciare daccapo in questa cittadina.
Nella sua autobiografia così Edith racconta:


“Sopraggiunsero gravi preoccupazioni per il pane: il nuovo negozio era gravato di debiti e non si avviò tanto presto. Mia madre non ha mai detto una parola riguardo alle difficoltà che ha dovuto affrontare anche durante la sua vita matrimoniale. Di mio padre ha sempre parlato con un tono di amore sincero e ancor oggi, dopo tanti anni, quando si ferma davanti alla sua tomba, si vede che il dolore per lui non si è spento. Dopo la sua morte ha sempre portato abiti neri”.


La nipote Susanna ben conosce, naturalmente, l’autobiografia scritta dalla zia Edith. Proprio riferendosi al testo appena citato, scrive:


“Nel leggere queste righe, resto perplessa. Indicano forse, in modo sottile, che mia nonna ebbe un matrimonio difficile, ma che non ne parlò? O implicano che non ve ne furono? Posso solo dire che, come mia zia, non l’ho mai sentita lamentarsi del matrimonio o menzionare i suoi difetti. D’altra parte, mi sono chiesta a volte, quanto poco sia stato nominato - nell’insieme - quest’uomo. Al contrario, il nome del mio nonno paterno veniva non di rado ricordato nella conversazione, e sebbene mio padre, che era un bambino quando morì suo padre, non ne avesse alcun ricordo, aveva ricevuto dalla mamma un’immagine assai viva di lui. Ne parlava spesso e con affetto e un grande ritratto di lui era appeso in salotto. Ovviamente ciò non conferma nulla per quanto riguarda il matrimonio dei miei nonni materni. Ciò che possiamo assumere come un dato sicuro è che la capacità commerciale del nonno non eguagliò, forse, quella di sua moglie Auguste. Inoltre, col passare degli anni, forse ella giunse a capire, quando assunse la direzione dell’impresa di legname, dopo l’improvvisa morte del marito, quanto meglio di lui la potesse portare avanti. E forse, realizzando ciò, capì che i primi anni di sacrifici e povertà si sarebbero potuti evitare se suo marito fosse stato un commerciante più abile”.


Provocatorie indubbiamente queste considerazioni finali, come effettivamente strano il fatto che Auguste non consegnò alla memoria dei figli, di Edith soprattutto, un ritratto sempre vivo del marito. Noi però, lo abbiamo già ripetuto più volte, non vogliamo cadere nella trappola della interpretazione. Ci limitiamo perciò a rilevare il dato, rispettando senza commenti la scelta di Auguste e lasciando a lei di conservare in segreto la motivazione che l’ha indotta a comportarsi in questo modo.

L’amore per la verità, anche quando fa male, è una caratteristica che certo accomuna molti membri della famiglia di Edith!
Edith lo ha scritto nella sua biografia:


“I miei cari fratelli mi perdoneranno se in queste pagine devo mettere per iscritto qualche cosa che potrebbe sembrare una critica alle loro debolezze (...) Quando sarà il mio turno non avrò maggior riguardo di quanto ne abbia con gli altri”.


Molto interessante questa affermazione, che ci dimostra quanto matura ed equilibrata fosse Edith: amare qualcuno non significa rendersi ciechi di fronte ai suoi limiti, ai suoi errori, alle sue debolezze. Al contrario, significa esserne talmente consapevoli da nutrire per lui (o per lei) un amore fedele dentro le fragilità stesse e, là dove la relazione lo rende possibile, essere accanto a chi si ama perché individui la strada per crescere e maturare.
Anche nel cercare e nel trovare il modo adulto di volersi bene per camminare insieme verso la maturità Edith ci è testimone e maestra.
Questo per dire che nelle pagine dell’autobiografia Edith non nasconde un grosso limite della mamma, che ha reso la vita faticosa a tutti i figli e ha pesantemente rischiato di compromettere gli equilibri: questo difetto stava nel fatto che entrò in conflitto con ognuno dei suoi generi e delle sue nuore! Non uno ne fu risparmiato!
Scrive Edith a riguardo del fratello Arno e consorte:


“Mio fratello Arno ha scelto sua moglie in accordo con mia madre e con tutti noi. Era una vecchia amica di famiglia, compagna di scuola di mia sorella Else dai tempi del seminario. Ancor molto giovane era partita per l’America, dove si era sposata ma aveva poi sciolto il matrimonio. Si manteneva da sola e impiegò i suoi risparmi per venire in Germania a trovare mia sorella ad Amburgo e noi a Breslavia. Era molto allegra, chiassosa e vivace, e portava sempre molta vitalità nella nostra casa tranquilla. Probabilmente aveva in mente già da molto tempo il matrimonio con mio fratello, finché l’idea venne anche a lui. Fu felicissima di veder realizzato il suo desiderio e la famiglia la accolse con gioia. La giovane coppia si trasferì addirittura nella casa in cui abitavamo e che avevamo acquistato da poco; all’inizio si cercò addirittura di gestire insieme la casa. Ma anche in questo caso un fu possibile una convivenza armoniosa. Ciò che ha sempre fatto irritare mia madre nei riguardi delle mie cognate è che entrambe non abbiano imparato a condurre un ordinato regime familiare. L’una è dotata di talento musicale e ha sempre impiegato molto del suo tempo nel prendere e dare lezioni private. L’altra ama far visite, acquisti e cercare sempre nuovi stimoli fuori di casa. Ed entrambe sono assolutamente lontane da mia madre per carattere. Quanto lei è indulgente e servizievole nei confronti di tutti, tanto è assolutamente intollerante rispetto a certi difetti del carattere”.


Il fratello Paul sposa Trude. Il figlio Gerhard il 28 ottobre 1984, scrivendo a Suor Josephine Koeppel [il contesto è quello per la causa di beatificazione di Edith, ndr], così ricorda:


“Quando mio padre corteggiava mia madre, lei giunse a superare la sua timidezza scrivendogli che si considerava fidanzata. Sfortunatamente mia nonna Auguste Stein e mia madre non andavano molto d’accordo a motivo dei loro interessi e abilità diverse. Mia nonna era primariamente una donna d’affari e molto meticolosa riguardo alla sua famiglia. Il valore di mia madre, invece, era nelle arti e nello sport mentre la famiglia veniva al secondo posto rispetto a ciò. Uno dei suoi passatempi era allevare canarini in cucina. Il non gradimento della nonna per mia madre giunse al punto che le domandò, di persona, di non sposare mio padre”.


La nipote Susanna completa il quadro proprio in relazione a Trude:


“ Ricordo che mia nonna era critica circa il modo in cui Trude teneva la casa: non beveva il suo caffè e quando era invitata a casa per un compleanno, nonna era attenta che sua figlia Rosa portasse la sua specialità Streuselkuchen, così che non dovesse mangiare il dolce preparato da Trude del quale diffidava. Nonna era abbastanza spietata nel ridicolizzare la nuora. Malgrado ciò, non ho mai sentito zia Trude parlare della nonna se non con profondo rispetto e persino con affetto. Tutto sommato mi sentirei d’accordo con suo figlio Gerhard che dice: «Mia madre aveva un cuore d’oro».


Susel poi narra anche qualcosa circa il rapporto tra la nonna e suo padre, Hans Biberstein:
“La piena misura del risentimento verso sua suocera non affiorerà se non decenni dopo, nel 1963, quando lesse per la prima volta il manoscritto di Edith Stein: Storia di una famiglia ebrea. E rivisse ogni conflitto, e discussione, insorto fra lui e sua suocera, fin dal momento in cui i miei genitori annunziarono il loro fidanzamento nel 1918. ho riferito altrove circa la lunga dissertazione che il babbo scrisse a mio fratello e a me, illuminando la sua parte della storia dopo aver letto quella di Edith. In questa sua puntualizzazione, sottolinea che tra lui e Auguste Stein prevaleva un rapporto cordiale dal loro primo incontro nel 1909 fino a quando, dieci anni dopo, la sua condizione cambiò da amico a fidanzato di Erna. Da allora in poi trovò la sua futura suocera ostile, critica e tessitrice di complotti. Temo che, per questo motivo, anche mia madre si rattristò dopo aver letto ciò che sua sorella aveva scritto, e ne soffrì, man mano che il dolore e il risentimento di conflitti, ormai remoti, venivano portati a galla”.


Sembra proprio, leggendo queste righe, che il nocciolo della questione sia alla fin fine sempre lo stesso: la fatica da parte di Auguste a consegnare i figli alla loro propria storia, anche affettiva. Sembra di poter cogliere un voler tenere i figli legati a sé, dunque il recepire generi e nuore come nemici, come coloro che “portano via” i suoi figli e le sue figlie. Anche questo ci pungola a una profonda riflessione circa la nostra modalità di vivere le relazioni affettive: sempre presente è infatti la tentazione di considerare l’altro nostra proprietà o di considerarci noi proprietà di un altro. La maturità consiste invece nel viverci gli uni accanto agli altri, compagni di strada di un cammino che però ciascuno, in ultima analisi, deve percorrere da solo. Ognuno infatti è responsabile unico e ultimo del suo destino. Anche di questo Edith è maestra e testimone, come avremo poi modo di approfondire parlando del tema dell’empatia. L’altro ci può camminare al fianco, a distanza variabile, può esserci di sprone o possiamo permettergli di farci rallentare il passo... ma a camminare siamo sempre e solo noi, da soli.
La scorrettezza relazionale, i ricatti affettivi come quelli messi in atto, sicuramente in maniera non pienamente consapevole, come nel caso di Auguste Stein, non solo non orientano verso l’adultità, ma fanno soffrire.

La presentazione di Auguste non è ancora completa: manca tutto l’aspetto relativo alla relazione con la figlia Edith. Affronteremo l’argomento in altra sede, per ora ci fermiamo qui.

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